La lentezza della gente ubriaca

Lentezza della gente ubriaca

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Tutto in me era disperazione e fallimento. Da poco compiuti i quarant’anni ero fottuto sino al midollo: senza un soldo, senza una casa, senza un lavoro, senza nemmeno il coraggio di porre fine ad una esistenza inutile e senza speranze.

Vivevo di espedienti sfruttando la pensione di una vecchia zia vedova e un po’ rincoglionita alla quale riuscivo a spillare quattrini con le scuse più assurde e per dare pace momentanea ai miei tormenti esistenziali mi ubriacavo ogni volta che potevo procurarmi le bevande alcoliche necessarie allo scopo.

Un giorno squallido e apparentemente senza senso come tutti gli altri, mi accadde qualcosa di incredibile da credersi e ancor più da descrivere e raccontare. Mi ero procurato una bottiglia di un vinello screditato e senza pretese, di quelli che si trovano nei supermercati del nord Italia e che si possono comperare per pochi euro: un gutturnio frizzante dei colli piacentini.

Non avevo mai avuto occasione di berne uno in precedenza, ed anche se quello che avevo trafugato non si presentava nemmeno tanto bene per via dell’etichetta superata e vecchio stile, decisi di berlo in fretta nella speranza che bastasse non dico ad ubriacarmi, dato che anche di gradazione non è che fosse un gran che, ma auspicavo almeno che mi rendesse un po’ brillo, aiutandomi a dimenticare per qualche ora i miei problemi.

Mi trovavo in un vicolo buio nella periferia nord di Milano, la notte era calata da un pezzo e accovacciato vicino ad un cassonetto iniziai a bere a canna direttamente dalla bottiglia.

Con mia grande sorpresa mi accorsi che l’effetto che quella bevanda esercitava su di me era del tutto diverso ed inaspettato. Anziché raggiungere l’agognato stato di ebrezza, iniziai al contrario a sentirmi stranamente bene, avvertendo un inusuale vigore, come se una potente e misteriosa energia si sprigionasse da quel vino dentro allo stomaco propagandosi in tutto il mio corpo. Mi sentivo forte, astuto, persino più intelligente e desideroso di agire, dimentico della mia consueta apatia e disinteresse per il mondo, iniziai ad avvertire l’esigenza di interagire con altri esseri umani.

Fu a quel punto che sperimentai la più incredibile e sconcertante delle scoperte.

Avvenne per caso, quando mi imbattei in un paio di tipi loschi e poco raccomandabili, subito dopo essermi scolato l’intera bottiglia. I due individui erano grossi, neri e minacciosi.

“Dare a noi tuoi soldi se non volere guai” mi minacciò il più grosso dei due in un italiano incerto ma guardandomi con occhi torvi e con uno sguardo che non lasciava spazio ai dubbi.

“Caschi male fratello, sono senza un centesimo, non ho altro in questo mondo oltre all’aria che respiro” gli dissi con tale sicumera da sorprendere me stesso. Per quanto i due africani potessero apparire pericolosi, non avvertivo nessuna paura.

“No fare furbo, dira vuori soldi o di ammazzo” disse quello più piccolo, e per sottolineare il fatto che non scherzava affatto da sotto la giacca estrasse un coltello a serramanico lungo ed affilato.

“Puoi anche ammazzarmi, se ci riesci” replicai con sarcasmo, “resta il fatto che non ho soldi, e comunque, anche se ne avessi, di certo non vorrei darteli” aggiunsi con tono di sfida. Le parole e quell’atteggiamento da duro mi vennero così naturali che ancora ora non riesco a spiegarmeli. Sino a quel momento ero sempre stato un pavido, un vigliacco, un cacasotto insomma. Nella mia vita precedente, come l’avevo conosciuta prima di bere quella bottiglia di gutturnio, a quel punto sarei già stato in ginocchio ad implorare pietà per la mia miserabile vita. Ora invece affrontavo due energumeni armati ed ostili come uno spaccone hollywoodiano.

“no fare stronzone, ultimo avviso amigo, dare soldi o morire”  ringhiò quello grosso mostrandomi un tirapugni in ferro borchiato.

Non mi feci intimidire, scrollai le spalle e senza rispondere gli feci capire che le loro minacce non mi impressionavano.

A quel punto i due africani passarono all’azione, tentando di colpirmi, uno con il coltello, l’altro con il tirapugni. Ma io evitai i loro affondi muovendomi con un’agilità ed una rapidità che non avevo mai avuto prima. Poi cercai di spingere via quello dei due che mi stava più vicino, e fu allora che accadde l’incredibile: quel tizio, subito dopo averlo toccato, iniziò a muoversi con la lentezza della gente ubriaca. Non era più capace di stare fermo sulle gambe, sembrava completamente sbronzo, poco dopo si piegò in un angolo e cominciò a vomitare sino a perdere i sensi.

Il suo compare, quello con il coltello, fu colto da una rabbia furiosa, non riusciva a capacitarsi della mia insospettabile velocità né tanto meno poteva spiegarsi come fossi riuscito con una sola spinta a mettere il suo amico fuori combattimento.

Mi si lanciò contro ringhiando, ma io lo evitai colpendolo poi con un pugno. E fu un pugno di straordinaria potenza che lo stese all’istante. Non potevo credere alla mia nuova straordinaria forza, ma quando l’africano si rialzò con la faccia sanguinante ed il naso rotto, fui ancora più stupito nel constatare che anche quello, ora, si muoveva con lentezza, come se avesse bevuto pesantemente. Poi, dopo aver barcollato come un vecchio, crollò nuovamente a terra svenuto.

Me ne andai riflettendo su quanto mi era appena accaduto. Dopo aver bevuto quel vino avevo chiaramente subito una trasformazione, ed in meglio. Ero diventato più forte, più agile, più spavaldo e sicuro di me, inoltre disponevo di un potere speciale: mi bastava toccare le altre persone per indurle in un evidente stato di ebrezza.

Non riuscivo ancora a capire esattamente come e perché, ma con ogni evidenza ero diventato una specie di supereroe. Da quel giorno diventai l’Uomo Etilico, ed ero fermamente intenzionato ad approfittarne.

 

I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone  o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale

Scritto da Anonimo Piacentino

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Due vecchi sadici e pazzi

 

 

La giovane coppia di innamorati giunse all’ameno agriturismo sul far della sera, quando il cielo si tinge di sangue ed il sole tramonta dietro alle colline ricoperte dai vigneti della Val Tidone.

Gessica era bella, prosperosa, fresca come un fiore appena colto e con lunghi capelli color del grano. Pino era alto, superbo, con l’energia dei suoi vent’anni offerta allo sguardo del mondo sotto forma di bicipiti muscolosi, pettorali massicci e addominali scolpiti.

La vecchia locandiera registrò i documenti e accompagnò i ragazzi alla loro camera, congedandosi con poche parole, una bottiglia di vino Ortrugo frizzante ed un sorriso malvagio.

“Questo posto è bellissimo, così romantico e suggestivo” disse Gessica emozionandosi.

“Non è male” ammise Pino, stappando la bottiglia e versando il profumato nettare in due bicchieri di cristallo pressato.

“Non vedo l’ora di tuffarmi in piscina, sarà un fine settimana indimenticabile!” squittì lei, iniziando a spogliarsi.

Pino non disse nulla, tracannò due bicchieri di vino, mostrò i suoi muscoli togliendosi la camicia e poi ficcò la lingua in bocca alla sua ragazza. Erano giovani, erano belli, e si amarono selvaggiamente prima di cenare.

La vecchia locandiera intanto era in cucina, nel pentolone stavano bollendo le mani amputate alla sua ultima vittima, un agente di commercio che aveva fatto a pezzi con il macete la settimana precedente.

Dopo aver assaporato il brodo aggiunse un po’ di sale poi si rivolse al marito, un vecchio sdentato senza più nemmeno un capello.

“Il ragazzo è robusto, dovrai stenderlo al primo colpo. Se fallisci potrebbe reagire e tu sei troppo vecchio per poterlo affrontare.”

“Non dire cazzate, non ho mai sbagliato un colpo. E poi sai bene che abbiamo dalla nostra l’effetto sorpresa” disse lui centrando la sputacchiera con una palla verde di vischioso tabacco masticato.

La vecchia ghignò compiaciuta: “devono avere carne molto saporita, specialmente la puttanella bionda.”

“Oh si! Carne fresca, carne soda” confermò il vecchio calvo, scatarrando altro tabacco e rimembrando per un momento l’epoca lontana in cui poteva ancora abusare delle sue vittime esibendo una virilità autentica, senza ricorrere a surrogati artificiali come mazze di ferro, verghe di legno, o bastoni dalle dimensioni surreali.

“Come stai pensando di sbarazzarti del ragazzo?” domandò la vecchia.

“Penso di usare la mazza da baseball, intendo colpirlo sul cranio, da dietro, mentre mangia, con un colpo secco. Sarà anche robusto come dici, ma se prendo il punto giusto, la testa gli si aprirà come una zucca rotta”

“Che schifo, mi toccherà pulire il sangue dal tavolo, dal pavimento e magari anche dal muro. Non possiamo semplicemente avvelenarlo?”

“Non vedo il divertimento, se usi il veleno vuoi dirmi a cosa ti servo? Vuoi il mio aiuto solo per seppellire il cadavere?” protestò il vecchio sputacchiando altro catarro verde.

“Non essere permaloso, a parte che puoi sempre darti da fare con la puttanella, potremmo usare una dose non letale, così potrai divertirti a sfondargli la testa in cantina. Lì almeno non devo pulire in tutta fretta prima di servire la prima colazione.”

“Si, mi sembra una buona idea, metti del sedativo nel brasato di mani, quando si addormenteranno li porteremo in cantina, senza alcuna fatica. Lo sai che odio le urla, e per Giove, sono certo che quella puttanella si metterà a strillare come un’aquila quando sfonderò il cranio del suo fidanzato. Meglio sedarli entrambi, legarli e imbavagliarli. A quel punto ci divertiremo con la cassetta degli attrezzi al gran completo.”

La vecchia annuì, mentre un ghigno sadico e perverso le si disegnò sulla faccia rugosa e color del cuoio.

I due giovani furono sepolti agonizzanti, ma ancora vivi, in una fossa scavata in giardino, dopo due settimane di orribili torture e crudeli violenze.

 

I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone  o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale

Scritto da Anonimo Piacentino

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Due vecchi sadici e pazzi

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