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Susanna era giovane e bella e lavorava come barista in un noioso paesino sperduto sulle colline ricoperte dai vigneti della Val Tidone.
Era un caldo pomeriggio di mezza estate e lei, da dietro il bancone, mesceva vino bianco frizzante a quattro clienti vecchi e miserabili. Bevevano tutti i giorni vino bianco Ortrugo o Malvasia sino a sbronzarsi: non c’era altro da fare in quel paese, a parte ubriacarsi o aspettare la morte.
I giovani erano già andati via quasi tutti da tempo, ed anche Susanna sognava di fuggire un giorno insieme ad un principe affascinante e tenebroso, qualcuno che la portasse lontano da quelle colline, in groppa ad un maestoso destriero dal manto nero come la notte.
Intanto giocava la sua partita a scacchi con la noia scrivendo storie di amori travagliati e leggendo romanzi d’avventura.
“Ue Mario, hai letto? Il Vescovo ha nominato altri tre esorcisti questo mese” disse uno dei clienti del bar mostrando la prima pagina di un quotidiano locale.
“Urca Piero, hai ragione, domenica lo ha detto anche don Michele durante l’omelia: il Diavolo è in mezzo a noi!”
“E sì, guarda, leggi qui, nell’articolo dicono pure che hanno iniziato a stampare e distribuire un vero manuale per riconoscere la presenza del demonio”
“Per la Marianna, e come si chiama questo manuale?” domandò Mario, tracannando il suo bicchiere di Malvasia frizzante.
“Si chiama De Cura Obsessis, roba forte, un manuale per riconoscere la presenza del diavolo. Credo che per farsi un’idea più precisa bisognerebbe leggerlo però” spiegò Piero, con aria turbata, mentre a sua volta svuotava d’un fiato un bicchiere colmo di Ortrugo.
“Lo ha detto anche la Madonna ai veggenti di Mejugorie: Satana vuole toglierci la gioia” aggiunse un terzo vecchietto dallo sguardo cupo e le mani artritiche.
Susanna non credeva più in Dio, aveva perso la fede quando ancora era una ragazzina. E disprezzava quei vecchi senza un futuro, bigotti ed ubriaconi tutto chiesa, vino gutturnio e superstizioni.
Talvolta, per non sentire le loro assurde storie, si rifugiava nelle sue fantasie, oppure attraverso il suo smartphone di ultima generazione si perdeva tra le pagine di un sito di abiti alla moda o di scarpe all’ultimo grido.
In questo modo capitò quel giorno sul negozio virtuale scarpedaurlo.com e vide un paio di meravigliose scarpe da ballo a tacco alto.
Erano magnifiche, di luccicante vernice rossa, a punta e con il tacco stretto e slanciato.
Già si stava immaginando con il suo vestito nero preferito volteggiare sulle piste da ballo con quelle nuove splendide e sfavillanti scarpe rosse come il fuoco.
Non poteva resistere, ed in pochi secondi inserì i dati della sua carta di credito e le comperò. Il sito prometteva consegna in 24 ore soddisfatti o rimborsati.
Era una giornata strana e tetra e faceva un caldo infernale in quel piccolo paese, il più crudele e noioso borgo della valle.
Luca e Marcellino entrarono nel bar. Erano gli ultimi due giovani rimasti.
Luca era uscito da poco di prigione. Era un tipo tozzo e grasso, con braccia bovine e occhi rabbiosi. Sarebbe presto tornato in carcere c’era da scommetterci.
Marcellino aveva la faccia paffuta e l’aria stupida, viveva ancora con sua madre e faceva finta di fare lo scrittore. Da sei anni era innamorato di Susanna ma lei non lo calcolava.
“Facci due calici di Gutturnio frizzante bellezza” disse Luca con voce arrogante ed un subdolo luccichio dentro gli occhi.
“Perché sei tornato in paese?” chiese Susanna sospettosa, versando da bere e guardandolo come se lui fosse un insetto insignificante.
“Sono tornato per te zuccherino” precisò lui, mangiandola con gli occhi.
“Cosa vorresti dire?”
“Sabato andiamo al Vicobarock fest, per festeggiare il ritorno di Luca. Siamo passati per invitarti” spiegò Marcellino, fissando il bicchiere pieno di vino Gutturnio.
Non riusciva a sostenere lo sguardo della ragazza, per timidezza e per paura che lei lo disprezzasse apertamente come aveva appena fatto con il suo amico.
“Puoi portare tua cugina se vuoi” aggiunse Luca, con fare viscido.
Susanna non rispose subito, restò lì a pensarci su per qualche secondo.
I due ragazzi non la interessavano minimamente, e di certo non aveva bisogno di portarsi dietro sua cugina per andare ad una festa. Però al Vicobarock fest ci sarebbe stata la musica e lei avrebbe avuto l’occasione di ballare con le sue nuove scarpe rosse. Certo, Luca probabilmente l’avrebbe infastidita, o peggio ci avrebbe provato apertamente, ma lei sapeva come tenere a bada un ragazzo, anche uno problematico come lui.
“Va bene, verrò. Passate a prendermi a casa, sabato, alle nove”
*
Sabato sera l’area feste di Vicobarone era gremita di giovani, venuti da tutta la provincia per assistere al concerto di 7 grintose rock band impazienti di esibirsi.
La musica veniva sparata dalle casse al massimo volume, mentre dalle cucine uscivano pisarei, tortelli, braciole, salamelle e fiumi di vino gutturnio.
Girava anche parecchia droga e la pista da ballo era affollata di ragazzi e ragazze che saltellavano come impazziti, sospinti e trascinati da una musica infernale.
Susanna passò tutta la sera ballando senza mai stancarsi, nel suo bel vestito nero e con ai piedi le sfolgoranti scarpe di vernice rosso fuoco. Luca e Marcellino si davano da fare con il Gutturnio.
A mezzanotte iniziò l’esibizione del gruppo più famoso: i Bambini di Aleister così chiamati in onore dell’occultista inglese Aleister Crowley, padre del satanismo moderno.
La loro esibizione durò circa trenta minuti: eseguirono le cover dei Led Zeppelin, dei Mercyful Fate, dei Deicide e di altre rock band dell’heavy metal più estremo e cattivo.
Conclusero con un pezzo inedito scritto di loro pugno, una specie di incomprensibile e disgustoso inno al demonio. Una sorta di rituale durante il quale si diffuse tutt’attorno un intenso, penetrante, ripugnante odore di zolfo.
L’osceno spettacolo si concluse infine con il lancio sul pubblico, per mezzo di un aspersorio di forma caprina, di una rivoltante e sinistra poltiglia corvina.
A notte fonda i tre ragazzi stavano tornando a casa. Erano a bordo della vecchia Fiat Panda di Luca, ma stava guidando Marcellino. Luca era senza patente, gli era stata ritirata per guida in stato di ebrezza.
“I Bambini di Aleister sono mitici” commentò Marcellino ancora un po’ stordito dalla musica assordante del concerto.
“Si dice che abbiano venduto l’anima al diavolo, come Katy Perry” disse Luca biascicando: era completamente sbronzo.
“Io penso sia solo una trovata pubblicitaria nel casso della Perry” obiettò Marcellino.
Susanna non parlava, era seduta davanti ed occupata a schivare le attenzioni di Luca, che dai sedili posteriori allungava le mani appiccicose cercando di toccarle i capelli, il collo o le spalle.
“Si dice che anche Lady Gaga, Maddonna e Britney Spears siano scese a patti con il maligno” aggiunse Luca.
“Per me sono tutte fregnacce”
“Se sapessi come fare, venderei anche io la mia anima fottuta, ammesso che ne abbia una, in cambio di soldi e successo”
“Comunque questa cosa di vendere l’anima io non la capisco. Ammesso che esista veramente, il diavolo cosa se ne farebbe mai di un’anima come la nostra?” concluse Marcellino ridendo in modo stupido.
“Metti giù le mani” gridò Susanna con voce irritata. I tentativi di Luca si erano fatti arditi.
“Non fare la preziosa zuccherino, ho visto come dimenavi il culo mentre ballavi, adesso devi far divertire un po’ anche noi”
“Vai a farti fottere, stronzo!”
Marcellino fermò l’auto. Erano arrivati a casa di Susanna. Lei non perse tempo e scese subito dall’auto per sottrarsi alle fastidiose mani di Luca.
Lui la seguì sin sotto casa, anche se con passo incerto a causa dell’ubriachezza, poi la prese per un braccio e cercò di baciarla: la sua bocca era piena di denti marci rovinati dal fumo e dalle carie.
“Lasciami in pace bastardo” gridò Susanna con voce isterica, poi lo spinse via con tutta la forza che aveva in corpo.
Luca cadde a terra. Era furioso adesso, ma troppo ubriaco per riuscire ad alzarsi.
Susanna si avvicinò e gli sparò un tremendo calcio tra le costole.
“Ahhhh puttana maledetta” ringhiò Luca, portandosi le mani sul fianco dilaniato dal dolore.
“Così impari, coglione!”
Marcellino si avvicinò allora timoroso all’amico ancora in terra cercando di soccorrerlo.
Susanna lo guardò con disprezzo, poi cercò le chiavi di casa nella borsetta e si diresse alla porta.
“Ferma quella troia prima che si chiuda dentro” ordinò Luca.
Marcellino esitò, non poteva obbedire, amava Susanna e non avrebbe mai potuto farle del male.
Quando Luca vide chiudersi la porta senza che Marcellino avesse fatto nulla per impedire alla ragazza di andarsene, riversò la propria frustrazione sull’amico.
“Ora ti insegno io come ci si comporta, frocetto” disse riuscendo finalmente ad alzarsi. Poi cominciò a tirargli pugni spaventosi.
Una, due, tre castagne ben assestate sulla faccia, nello stomaco, sulla nuca.
Marcellino rovinò a terra con la faccia insanguinata ed il naso rotto.
Luca salì in macchina e andò via sgommando stravolto dalla rabbia e dai fumi dell’alcool, lasciando Marcellino sanguinante nella polvere, sopra lo zerbino, davanti alla casa di Susanna.
Lei aveva assistito al barbaro pestaggio guardando dalla finestra. Si sentiva un po’ in colpa e Marcellino le faceva compassione. Decise di aiutarlo.
“Dai, alzati, vieni in casa da me, devi medicare queste ferite”
“No, non posso. E’ notte fonda, io credo che dovrei andare a casa mia adesso, non voglio darti disturbo”
“Non dire cazzate. Sei ferito. Andrai a casa domani. Adesso entriamo, voglio medicarti”
La casa di Susanna era modesta ma decorosa e pulita. Marcellino si sistemò in soggiorno, sul divano.
Dopo avergli disinfettato le ferite sul volto lei gli diede anche una bottiglia di Gutturnio Superiore.
“Sei molto gentile” disse Marcellino con gli occhi dilatati dalla gratitudine.
“Merda!” disse lei.
“Mha, non, non capisco. Perché mi insulti adesso?”
“Non dico a te, scemo. Sto imprecando perché mi si sono sporcate le scarpe nuove” spiegò Susanna, mentre con uno straccio cercava di togliere delle strane macchie nere dalle magnifiche scarpe rosse col tacco.
“Che schifo, questa roba puzza, e non riesco a toglierla, ora però sono stanca. Ci riproverò domani. Vado a dormire. Ciao”
“Non mi dai il bacio della buonanotte?” osò chiedere Marcellino, dopo aver dato una copiosa ingollata dalla bottiglia di Gutturnio, così per darsi coraggio.
“Nemmeno nei tuoi sogni” disse lei, acida, chiudendosi in camera da letto.
Era una notte cupa e tenebrosa ed una enorme luna piena color sangue galleggiava nel fosco cielo sopra la valle.
Susanna fu svegliata di soprassalto da orrendi rumori che provenivano dal soggiorno. Sembravano il fragore della carne lacerata dai morsi di una belva feroce.
“Marcellino, ma che cazzo stai facendo? vorrei dormire qualche ora se non ti dispiace!” urlò Susanna.
Marcellino non rispose. Dal soggiorno arrivarono altri sinistri suoni inquietanti, come di ossa spezzate.
Susanna si alzò allora dal letto e si diresse verso il soggiorno: indossava solo una vestaglia semitrasparente e delle mutandine di cotone bianco.
Quando aprì la porta fu investita da un insopportabile tanfo di morte, come di qualcosa di marcio, putrido e in decomposizione.
Una pallida e macabra luce proiettata dalla luna illuminava il soggiorno, dove il corpo di Marcellino giaceva riverso al centro della stanza.
La faccia era orribilmente mutilata, in parte già ridotta alle sole ossa del teschio, senza più un occhio, con buona parte della carne strappata dal cranio.
Susanna lanciò un urlo folle e disperato quando vide che le rosse scarpe da ballo la stavano osservando.
Su entrambe si erano aperti mostruosi occhi gialli da serpente, e sogghignanti bocche malvagie grondanti sangue, con raccapriccianti denti seghettati dai quali penzolavano brandelli di carne umana masticata.
Susanna era paralizzata dalla paura. Capiva che avrebbe dovuto fuggire, ma le gambe le si erano fatte pesanti come sacchi di cemento e non riusciva a muoverle.
Le scarpe indemoniate iniziarono a strisciare verso di lei, ringhiando e digrignando le abominevoli fauci.
La temperatura nella stanza si era improvvisamente abbassata ed un gelido vento soffiava tra gli stipiti della porta e gli infissi delle finestre.
“Via, via, andate via maledette!” gridò Susanna ormai in preda al panico.
Un agghiacciante suono terrificante, come una specie di diabolica risata, uscì dalle scarpe che erano quasi arrivate ai piedi della ragazza.
Lei iniziò a piangere ed ad urlare ancora più forte.
Poi, quando ormai avrebbero potuto facilmente azzannare le belle caviglie bianche della giovane, le mostruose calzature del demonio si ritrassero come sospinte da una forza superiore ed insuperabile.
Susanna le vide allora spiccare un balzo, sfondare la finestra, e volare via nella notte lunare in direzione della foresta.
Marcellino riposava cadavere nel soggiorno con la testa mezza divorata.
Susanna si lasciò cadere sgomenta sulle ginocchia. Alle sue spalle, appesa alla parete, una Madonna con bambino sorrideva materna da dentro un vecchio dipinto ad olio, regalo di una zia suora.
E fu così che Susanna ritrovò la fede.
Dopo aver passato ingiustamente 23 anni in carcere, condannata per l’omicidio di Marcellino, prese i voti e si ritirò in un convento di clausura.
Era serena, e felice: aveva finalmente trovato la sua dimensione spirituale.
Qualche volta però le capitava ancora, quando in cielo c’era la luna piena, di svegliarsi nel cuore della notte.
Un cattivo odore, come di tomba profanata, si diffondeva allora nell’aria e Susanna, guardando fuori dalla finestra della sua cella, poteva scorgere luminosi occhi gialli di serpente volteggiare nell’oscurità, e ombre di scarpe di vernice rossa allungarsi tetre sopra di lei.
I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale
Scritto da Anonimo Piacentino
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Idem l’ho letta ed anche questa è meravigliosa..bella cattiva..mi piace un sacco..