Oro da Mosca: recensione saggio di Valerio Riva

Valerio Riva, nel suo saggio Oro da Mosca, (1999, Milano, Arnoldo Mondadori Editore) affronta uno dei temi più controversi della storia politica italiana del Novecento: il finanziamento occulto del Partito Comunista Italiano (PCI) da parte dell’Unione Sovietica. Basandosi su una documentazione inedita emersa dagli archivi moscoviti dopo il crollo dell’URSS, l’autore ricostruisce con rigore investigativo le modalità con cui il PCI ricevette ingenti somme di denaro dal Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS), collocando la questione in un più ampio quadro geopolitico.

L’indagine di Riva si inserisce in un dibattito storico ancora acceso sul grado di autonomia del PCI rispetto all’influenza sovietica. Per decenni, i vertici del partito hanno negato qualsiasi dipendenza finanziaria o ideologica da Mosca, presentandosi come un movimento indipendente, impegnato in una via nazionale al socialismo. Tuttavia, i documenti analizzati dall’autore, provenienti direttamente dagli archivi dell’ex PCUS, dipingono un quadro ben diverso: tra gli anni Cinquanta e il crollo dell’URSS, milioni di dollari furono inviati al PCI attraverso canali riservati, spesso con modalità tali da eludere i controlli internazionali. La rivelazione non è priva di conseguenze: se da un lato rafforza la tesi di chi ha sempre sospettato una dipendenza del PCI da Mosca, dall’altro solleva interrogativi sulla natura e gli scopi di questi finanziamenti.

Uno degli aspetti più interessanti del lavoro di Riva è l’utilizzo di una mole imponente di fonti primarie, tra cui telegrammi, ricevute di versamento, lettere riservate e rapporti del KGB. La particolarità di questa documentazione sta nella sua autenticità: non si tratta di semplici accuse o ricostruzioni basate su testimonianze indirette, ma di prove dirette che attestano il flusso di denaro e le dinamiche che lo regolavano. L’autore dimostra un’accuratezza metodologica degna di nota, incrociando le informazioni per ricostruire i passaggi di denaro, le cifre coinvolte e le persone implicate. Sebbene l’apertura degli archivi sovietici abbia permesso di accedere a questi materiali, resta comunque il problema della loro selezione: è possibile che alcuni documenti compromettenti siano andati perduti o non siano mai stati resi pubblici, e questa è una questione su cui la ricerca storica dovrà continuare a interrogarsi.

Il PCI emerge dalle pagine di Oro da Mosca come il principale beneficiario occidentale dell’assistenza sovietica. Le prove presentate da Riva mostrano che i finanziamenti erano continui e strutturati, garantendo al partito una solidità economica che lo ha reso un attore centrale nella politica italiana del dopoguerra. I fondi provenienti da Mosca servivano non solo per le attività propagandistiche, ma anche per il mantenimento della struttura organizzativa e per il sostegno alla stampa di partito. È interessante notare come il PCI avesse sviluppato una rete di intermediari e canali di ricezione discreti, evitando transazioni che potessero essere facilmente rintracciate. L’implicazione di questi finanziamenti va oltre la semplice questione economica: essi ponevano il PCI in una posizione ambigua nei confronti della politica nazionale e internazionale. Se da un lato il partito sosteneva di rappresentare gli interessi dei lavoratori italiani in modo autonomo, dall’altro il sostegno finanziario sovietico solleva dubbi sulla sua reale indipendenza nelle scelte strategiche.

Proprio su questo punto si innesta il dibattito più spinoso: il PCI era un semplice beneficiario di aiuti internazionali, come sostenevano alcuni esponenti della sinistra, o un ingranaggio della macchina geopolitica sovietica? Secondo Riva, il legame con Mosca non si esauriva nel mero sostegno economico, ma implicava anche un condizionamento politico e ideologico. L’URSS non elargiva fondi senza contropartite: in cambio pretendeva fedeltà, allineamento ideologico e una vigilanza rigorosa sulle eventuali deviazioni dottrinarie. Questo aspetto diventa particolarmente evidente nei momenti di crisi, come l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956 o quella della Cecoslovacchia nel 1968, quando il PCI si trovò a dover bilanciare la fedeltà a Mosca con la necessità di mantenere consenso in Italia. Il dibattito sulla sovranità del PCI rispetto all’URSS è tuttora aperto e il libro di Riva fornisce nuove chiavi di lettura per affrontarlo.

Un altro elemento di confronto interessante che emerge dall’analisi dell’autore riguarda la posizione del PCI rispetto agli altri partiti comunisti occidentali. Nonostante Mosca avesse destinato risorse anche a movimenti in Francia, Spagna e Grecia, il PCI risulta essere il partito più finanziato, probabilmente per la sua importanza strategica nel contesto della Guerra Fredda. A differenza dei partiti comunisti di altri paesi, spesso più marginali o meno radicati, il PCI rappresentava una forza politica concreta, capace di raccogliere milioni di voti e di incidere sugli equilibri politici italiani. Questo spiega il forte investimento sovietico e il rapporto privilegiato che il partito italiano aveva con il Cremlino.

L’analisi di Riva solleva dunque questioni fondamentali che non riguardano solo il passato, ma anche la memoria storica e il modo in cui viene percepito il ruolo del PCI nella storia italiana. Se il libro demolisce definitivamente l’idea di un PCI del tutto autonomo, non è altrettanto categorico nel definire il grado di dipendenza effettiva del partito da Mosca. Ciò che emerge, tuttavia, è il ritratto di una forza politica che ha navigato tra pragmatismo e ideologia, tra esigenze finanziarie e necessità di mantenere una propria credibilità nazionale.

Uno degli aspetti più interessanti di Oro da Mosca è il suo stile narrativo, che unisce il rigore documentale alla capacità di rendere accessibili questioni complesse a un pubblico più ampio. Valerio Riva scrive con un linguaggio chiaro e incisivo, evitando il tecnicismo esasperato tipico di alcuni saggi storici e adottando un approccio quasi giornalistico. Questo rende il libro leggibile non solo dagli specialisti, ma anche da un lettore medio interessato alla storia politica italiana. La struttura del testo è fluida, con un uso efficace delle fonti primarie che vengono spesso citate integralmente, permettendo al lettore di confrontarsi direttamente con il materiale d’archivio.

Tuttavia, non si può dire che Oro da Mosca sia un’opera del tutto neutrale. L’autore adotta un tono spesso polemico e provocatorio, specialmente nei confronti della narrazione che il PCI ha fornito di sé stesso nel corso della sua storia. Riva non si limita a riportare i fatti, ma sottolinea con decisione le contraddizioni e le ambiguità della leadership comunista italiana, suggerendo che la retorica dell’indipendenza del PCI fosse, almeno in parte, costruita per coprire un rapporto di dipendenza economica e politica con Mosca. Questo approccio può essere visto sia come un punto di forza, per la sua capacità di stimolare il dibattito, sia come un elemento che potrebbe far storcere il naso a chi cerca un’analisi più distaccata e priva di intenti polemici.

L’uscita del libro ha suscitato reazioni contrastanti. Da un lato, molti storici e giornalisti hanno accolto con interesse l’emergere di documentazione inedita che gettava nuova luce sui finanziamenti sovietici al PCI, considerandolo un contributo importante alla comprensione della Guerra Fredda e del ruolo dei partiti comunisti occidentali. Dall’altro, le conclusioni di Riva hanno generato forti polemiche, specialmente in ambienti vicini alla sinistra italiana. Alcuni hanno accusato l’autore di voler screditare il PCI con una lettura eccessivamente schematica e di non aver contestualizzato a sufficienza la politica di finanziamento sovietico, che non riguardava solo l’Italia, ma un’ampia rete internazionale.

Un altro punto critico riguarda la selezione delle fonti. Sebbene i documenti d’archivio utilizzati siano di indubbio valore storico, ci si potrebbe chiedere se la loro interpretazione sia sempre così netta come Riva suggerisce. Alcuni studiosi hanno sottolineato che il fatto che il PCI abbia ricevuto fondi da Mosca non implica automaticamente che fosse un burattino del Cremlino. Il partito, infatti, ha spesso mostrato posizioni autonome rispetto all’URSS, soprattutto a partire dagli anni ’70, quando la strategia del compromesso storico e l’eurocomunismo hanno segnato una presa di distanza dalla linea sovietica. È dunque lecito domandarsi se il libro dia il giusto peso a queste sfumature o se, al contrario, enfatizzi il legame economico a scapito di una visione più complessa del PCI come attore politico.

Al di là delle polemiche, Oro da Mosca rimane un libro di grande rilevanza anche per il dibattito attuale. La questione dei finanziamenti sovietici continua a essere un tema di forte interesse non solo per la ricostruzione storica, ma anche per il modo in cui l’eredità del PCI viene percepita oggi. La memoria di questo passato influenza ancora il discorso politico, soprattutto in un contesto in cui la sinistra italiana ha vissuto trasformazioni profonde, cercando di ridefinire la propria identità dopo la fine del comunismo. La pubblicazione del libro ha contribuito a riaprire discussioni che erano state per lungo tempo archiviate o trattate con cautela, riportando all’attenzione un capitolo poco esplorato della storia politica italiana.

Sul piano storiografico, il contributo di Riva è significativo perché fornisce una base documentale che prima era inaccessibile. Rispetto ad altri studi sul tema, Oro da Mosca si distingue per la quantità di prove raccolte e per la volontà di affrontare senza reticenze un argomento che per anni è stato oggetto di smentite o minimizzazioni.

A più di vent’anni dalla sua pubblicazione, il libro conserva intatta la sua forza dirompente e resta un testo imprescindibile per chiunque voglia comprendere il complesso intreccio tra politica italiana e influenza sovietica nel XX secolo. Anche se alcune delle sue conclusioni possono essere messe in discussione, il valore del lavoro di Riva sta nell’aver aperto una breccia nella narrazione ufficiale, costringendo la storiografia a confrontarsi con fatti e documenti che non possono essere ignorati. Per questo motivo, Oro da Mosca merita ancora oggi di essere letto, discusso e approfondito, sia dagli storici sia da chiunque voglia comprendere meglio le dinamiche politiche del Novecento.


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