L’automobile, una Ford Kuga grigia 4×4 vecchio modello, si fermò all’ingresso della piazza di Vicobarone, proprio sotto l’insegna dell’agriturismo Piacenza.
“Da qui possiamo vedere bene l’ingresso del bar” disse Giada, una giovane bionda bella e malvagia, stappando una bottiglia di gutturnio frizzante di media qualità.
“Sei sicura che sia una buona idea?” le chiese Samantha, la sua compagna, una pantera senegalese color cioccolato e con due gambe da urlo.
“Certamente, nessuno rapina mai questi pidocchiosi bar sperduti sulle colline piacentine. Ma è sabato sera e i vecchi pensionati che lo frequentano non hanno fatto altro che bere per tutto il giorno. Ora le casse sono piene e aspettano solo di essere svuotate nelle nostre borse”
“E se il proprietario cercasse di reagire? I villici di campagna sono spesso armati sino ai denti. A mio fratello che ruba gasolio dalle cisterne dei contadini gli hanno già sparato addosso un paio di volte.”
“Il sabato sera è di turno una ragazza inerme. L’unico grilletto che abbia mai toccato lo tiene in mezzo alle gambe” concluse Giada con una risata perversa e buttando giù una gollata di gutturnio direttamente dalla bottiglia.
Le due giovani rapinatrici si infilarono allora delle calze di nailon sulla testa, scesero dall’auto, presero i fucili adagiati sui sedili posteriori e fecero irruzione nel bar.
“Tutti fermi, luridissimi vermi! Questa è una rapina!” urlò Giada per prima, sparando una fucilata contro le vetrate del bancone, per far capire che non stava scherzando.
“Tirate fuori i soldi brutti figli di puttana!” aggiunse Samantha colpendo in piena faccia con il calcio del fucile uno dei vecchi ubriaconi seduti vicino all’ingresso, facendolo crollare a terra svenuto con le labbra spaccate, due denti rotti e la bocca sanguinante.
Il bar fu avvolto da un silenzio surreale, anche la barista di turno, che avrebbe voluto urlare, era paralizzata dalla paura e incapace quasi di respirare.
“Coraggio bastardi, mettete tutti i soldi dentro al sacco nero della spazzatura e nessuno si farà male” ordinò Giada, mentre Samantha passava davanti agli avventori terrorizzati con il sacco nero spalancato.
Gli ubriaconi e gli altri clienti occasionali di quel caldo sabato di mezza estate obbedirono senza fare storie, erano troppo spaventati oppure troppo sbronzi per tentare una qualsiasi reazione.
In pochi minuti le giovani bandite avevano svuotato le tasche dei clienti e la cassa del bar.
“Ora ci serve un ostaggio!” gridò Giada, poi si girò verso la porta e indicò un uomo grasso, seduto vicino al vecchio svenuto: “Tu, ciccione di merda, alzati in piedi e vieni con noi!”
Il ciccione si chiamava Cosimo Truffaldino, era un agente di commercio in disgrazia e aveva una cinquantina di primavere mal vissute e mal portate sulle spalle. Da qualche anno viveva di espedienti e piccole truffe.
“Muovi il culo grassone” lo aggredì Samantha colpendolo con la canna del fucile sulla testa per farlo alzare.
Cosimo Truffaldino, in stato di ebrezza avanzata, cercò faticosamente di alzarsi.
“Se qualcuno di voi stronzi, si azzarda a chiamare i carabinieri prima che siano passati sessanta minuti, vi giuro che ammazzo il ciccione!” spiegò Giada urlando come una pazza.
“E ricordate che noi facciamo sul serio” aggiunse Samantha sparando una fucilata sullo schermo di una slot machine, che esplose fragorosamente schizzando fuori fiamme e scintille.
Poi le due donne si allontanarono trascinandosi dietro un sacco pieno di soldi ed un ciccione barcollante. Arrivate alla Kuga costrinsero Cosimo a inginocchiarsi, lo imbavagliarono con del nastro adesivo legandogli anche le mani dietro la schiena. Lo obbligarono ad entrare nel portabagagli e a quel punto gli legarono anche le caviglie. Dopo essere salite a bordo anche loro, si tolsero le calze di nailon dalla testa e partirono sgommando verso Castel San Giovanni.
La macchina sfrecciava silenziosa a fari spenti lungo la strada illuminata dalle stelle, lasciandosi alle spalle rigogliosi vigneti ordinati in geometrici filari e regolari campi di girasole.
Arrivati all’altezza di Ganaghello, Giada condusse la Kuga lungo una strada sterrata sino ad un vecchio casale in mezzo alla campagna, dove si fermarono, facendo sparire la macchina dentro un fienile e nascondendola agli occhi del modo.
“Prendiamo l’Alfa Romeo e tagliamo la corda” suggerì Samantha.
“E del ciccione cosa ne facciamo?” chiese Giada, mentre qualcosa di sinistro sembrò balenarle tra gli occhi color castagno.
“Lo carichiamo sull’Alfa, e quando arriviamo sulle colline di Bologna lo seppelliamo vivo da qualche parte” suggerì la pantera nera, “non lo troveranno mai” concluse con una specie di ghigno crudele.
“Vuoi aspettare di arrivare a Bologna per divertiti un po’ con lui?” chiese Giada maliziosa.
“Vuoi scherzare? Prima prendiamo l’autostrada e ci allontaniamo da qui meglio è. Tra meno di mezzora ci saranno posti di blocco ovunque.”
“Appunto gattina mia, tra poco le strade saranno bollenti. Noi invece ci nascondiamo qui per un paio di settimane, e quando le acque si saranno calmate andiamo a goderci la refurtiva.”
“Ma ci verranno a cercare” obiettò Samantha.
“Qui non ci troveranno, non possono mica perquisire tutte le case della valle. Faranno dei posti di blocco, qualche giro in elicottero e cazzate del genere, tra un paio di settimane nessuno parlerà più di questa rapina e del ciccione rapito, di cui scommetto non interessa un cazzo a nessuno. Cominciamo a interrogarlo piuttosto, per assicurarci che sia solo un ubriacone di merda.”
Le due donne scaraventarono Cosimo Truffaldino giù dalla macchina, e tirandolo per i capelli ingrigiti lo trascinarono in cantina facendolo sobbalzare lungo i vecchi gradini in mattoni che portavano nel sottosuolo. Cosimo gemette per il dolore ogni volta che qualche osso sbatteva sui rigidi laterizi e per la sofferenza lancinante al cuoio capelluto che lentamente si lacerava sotto al suo peso, mentre le crudeli malandrine lo strattonavano senza pietà giù per le scale.
Quando furono arrivate nello scantinato maleodorante di muffa, aceto e vino andato a male lo assicurarono ad una vecchia sedia di legno legandolo per bene con delle vecchie corde nautiche abbandonate.
“Allora merdone, cerca di essere collaborativo se non vuoi che ti ammazziamo subito” disse Giada schiaffeggiandogli la faccia grassoccia.
“Rispondi alle mie domande con un gesto della testa, solamente sì oppure no, tutto chiaro?”
Cosimo annui con il capo.
“Molto bene merdone, vedo che non sei del tutto stronzo. Allora dimmi, sei sposato?”
Cosimo scosse il capo in segno di diniego.
“Hai una compagna?”
Cosimo scosse nuovamente il capo
“Figli?”
Cosimo fece nuovamente cenno di no.
Un agghiacciante e torbido sguardo di trionfo si materializzò sul volto grazioso e letale di Giada.
“Cosa ti avevo detto? Il cicciobomba qui non se lo fila nessuno, forse anche al bar che abbiamo svaligiato nemmeno lo conoscono”
“Non resta che appurarlo” convenne Samantha
“Palla di merda, sei un avventore abituale del bar dove ti abbiamo rapito?”
Cosimo questa volta annuì, ma stava mentendo, era entrato la prima volta in quel bar il giorno stesso e solo perché la sua automobile, finita la benzina, lo aveva lasciato a piedi.
“Questo complica le cose” commentò Samantha vagamente preoccupata.
“Per nulla” la tranquillizzò subito la compagna bionda, “scommetto che è solo un sociopatico ubriacone di cui nessuno sentirà la mancanza”.
“Ce lo facciamo come gli altri?” chiese allora la panterona nera, mentre le si dilatavano le pupille per l’eccitazione.
“Ottima idea” chiosò Giada, appoggiando il piede destro sul petto di Cosimo Truffaldino. Poi spinse facendo leva con la gamba e rovesciando all’indietro la sedia su cui lui era legato, e facendolo cadere all’indietro.
Cosimo poteva vedere la mostruosità dei volti delle due ragazze, così belli e così terribili, contratti in agghiaccianti sorrisini perversi.
“Pensi che serva spogliarlo?” domandò Samantha picchiettando col tacco del suo scarpone militare sul ventre molle e sovrappeso di Cosimo.
“Non credo sia necessario” valutò Giada, intenta a sfilarsi gli stivali da cow-girl rivestiti in pelle di serpente.
Samantha invece tirò fuori un coltello a serramanico che teneva nascosto in una tasca dei Jeans neri attillati. Poi si inginocchiò vicino alla testa dell’uomo e con perizia degna di un chirurgo iniziò a tagliare e rimuovere il nastro adesivo che gli avvolgeva la bocca.
“Ti suggeriamo di non urlare” disse Giada ridacchiando, “se non vuoi ritrovarti la gola squartata con quel coltello”.
Cosimo annuì terrorizzato, non riusciva a capire quali malvage intenzioni avessero quelle due diaboliche e super sexy fuorilegge.
Samantha indossava una T-shirt maculata di colore verde militare che le metteva in risalto il seno generoso, Giada indossava pratici pantaloncini di jeans e una camicetta scollata sul davanti che lasciava poco spazio alla fantasia.
“Lasciatemi andare” osò protestare Cosimo, appena gli fu possibile parlare.
“Chiudi quella fogna!” lo redarguì Samantha, cominciando a picchiarlo sugli stinchi con il manico del coltello. I colpi non erano particolarmente forti, ma molto precisi e dolorosi.
Le ragazze ridevano divertite, nonostante la violenza dei colpi e la sofferenza inferta allo sventurato. Lui ne era agghiacciato ed iniziò a piangere in silenzio trattenendo i gemiti per paura di ulteriori conseguenze.
“Basta Ti prego smettila” implorò infine, quando il dolore era divenuto insopportabile.
“Ti abbiamo detto di stare zitto” disse Giada mettendogli il piede nudo e sudato sulla faccia, “leccami i piedi piuttosto, ciccione di merda”
Cosimo obbedì. Il piede di Giada, per quanto ben fatto e ben curato, puzzava in modo terribile dopo un’afosa giornata d’estate chiuso dentro lo stivale di serpente.
Ma Cosimo era un pervertito feticista dei piedi e si eccitò immediatamente, dandosi da fare con la lingua con impegno e dedizione.
Samantha notò la sua perversione e cominciò a ridere di gusto.
“Abbiamo trovato un altro schiavetto, è proprio un peccato doverlo eliminare” commentò Giada, spingendo le dita del piede smaltate di rosso dentro la bocca di Cosimo.
Samantha recuperò un’altra vecchia sedia, la dispose vicino al corpaccione obeso dell’ostaggio e vi sedette sopra, quindi si tolse le scarpe militari che indossava.
“Sei proprio uno schifoso grassone” valutò ad alta voce, ridendo ed umiliando il prigioniero.
Il piede di Giada era quasi per intero dentro la bocca di Cosimo, e le conseguenti difficoltà respiratorie lo stavano soffocando.
“Questo cicciobomba feticista mi fa veramente schifo” disse Samantha.
“E’ proprio uno stronzo” valutò Giada spingendo il piede ancora più in profondità nella gola dell’uomo.
Samantha allora si tolse i pantaloni mostrando a Cosimo le sue bellissime gambe. Giada gli sfilò il piede dalla bocca e lasciò spazio alla sua amica, che tornata a sedere sulla sedia appoggiò i piedi neri sulla faccia dell’agente di commercio.
Il prigioniero iniziò a leccare anche la pianta dei piedi della panterona, ma si accorse con orrore che vi era qualcosa di strano, insolito e disgustoso.
I piedi della bandita di colore erano ricoperti di ispidi peli neri ripugnanti, sopra e sotto, e non da meno lo erano le caviglie e buona parte delle gambe.
“Cosa ti succede panzone, non ti piacciono i miei piedi?”
Cosimo osò muovere la testa in segno di diniego e, cosa ancor peggiore, smise di leccare.
“Brutto stronzo, continua a leccare” ordinò Samantha fulminandolo con uno sguardo torbido e omicida.
Cosimo tergiversò, mentre una nuova terribile percezione tattile gli riempì il cuore di sgomento: i peli della ragazza da sotto i piedi neri si stavano allungando circondandogli tutta la faccia, penetrando come anguille dentro la bocca e le narici.
Completamente sopraffatto dal panico Cosimo chiuse gli occhi dicendo a sé stesso che non poteva essere vero, probabilmente era solo una sensazione passeggera dovuta a quella situazione traumatizzante.
Quando riaprì gli occhi poté per qualche secondo osservare peli grossi come corde e lunghi come liane fuoriuscire dall’intero corpo della panterona avvolgendolo in un disgustoso bozzolo di peluria nauseante.
Un attimo dopo tutta la testa e buona parte del grasso addome dell’uomo erano ricoperti dai mostruosi peli della spregevole ragazza.
Cosimo cercò inutilmente di gridare ma i velli avevano già raggiunto i polmoni e lo stomaco, e le diaboliche risate fragorose delle due crudeli megere furono l’ultima cosa che riuscì ad udire, prima di morire soffocato dall’abominevole donna ricoperta di peli.
I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale
Scritto da Anonimo Piacentino
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