La donna sulla luna (2002) di Giulio Leoni: recensione

Nel romanzo La donna sulla Luna, Giulio Leoni ci trasporta nella Berlino tardo-weimariana con una precisione atmosferica che ha il potere di evocare non solo un luogo e un tempo, ma uno stato d’animo collettivo, sospeso tra vertigine e declino. La capitale tedesca del 1929 è un crocevia incandescente di opposti: da un lato l’esplosione culturale, il fervore delle avanguardie artistiche, le notti febbrili animate da cabaret, cinema e musica, e dall’altro l’inquietudine ideologica, l’eco sempre più pressante di un nazionalismo che si riorganizza nei bassifondi del malcontento sociale. Leoni ricostruisce questa Berlino con uno sguardo che è insieme storico e letterario, mescolando documentazione minuziosa e sensibilità narrativa. Non si limita a descrivere l’ambiente: lo fa respirare, lo fa parlare attraverso i suoi protagonisti, i loro pensieri e le loro paure, in un continuo dialogo tra l’apparenza di modernità e la sotterranea regressione che prepara il crollo.

Al centro di questa tempesta culturale c’è il cinema, e in particolare l’UFA, la grande casa di produzione tedesca che fu il cuore pulsante del cinema espressionista. In La donna sulla Luna, Leoni ci porta dietro le quinte dell’omonimo film di Fritz Lang, un’opera che anticipa la fantascienza cinematografica e che, allo stesso tempo, riflette la tensione dell’epoca tra razionalità scientifica e pulsioni mitiche. Lang è già regista affermato, reduce dal successo di Metropolis, ma è anche un uomo inquieto, diviso tra l’ambizione artistica e l’ombra sempre più minacciosa del nuovo ordine politico. Il suo personaggio emerge nel romanzo come figura ambigua e affascinante, un artista che tenta di mantenere il controllo sulla finzione mentre il reale inizia a sfuggirgli da sotto i piedi. Giulio Leoni lo tratteggia con mano abile, evitando tanto l’agiografia quanto la caricatura: Lang è un uomo di sguardi e silenzi, che osserva più di quanto dica, consapevole che nel mondo che lo circonda l’immagine ha ormai preso il sopravvento sulla parola.

Ma La donna sulla Luna non è soltanto un affresco storico e culturale: è anche un romanzo giallo, attraversato da un’indagine che si insinua tra le pieghe del reale e dell’illusione. Quando una collaboratrice della troupe viene trovata morta, l’indagine viene affidata — in modo tutt’altro che ufficiale — a Egon Meinecke, ex investigatore e ora responsabile della sicurezza dell’UFA. Il suo percorso è quello classico dell’investigatore che scava nell’ambiguità dei segni e delle intenzioni, ma in questo caso si muove su un terreno particolarmente instabile, dove l’immagine cinematografica si confonde con la realtà, e il crimine sembra il riflesso di una realtà più grande e pericolosa. Leoni costruisce l’indagine come una progressiva discesa in un mondo fatto di illusioni, suggestioni ipnotiche e oscuri presagi, orchestrando il racconto con il passo incalzante del noir, ma arricchendolo di una densità simbolica che rimanda al gotico e al visionario.

E qui entra in scena Erik Jan Hanussen, l’illusionista, il veggente, l’uomo che sostiene di vedere il futuro — e che, storicamente, fu realmente vicino agli ambienti nazisti, tanto da essere considerato il profeta non ufficiale del Terzo Reich. La sua figura nel romanzo è sfuggente e magnetica, ponte tra due mondi: quello razionale della scienza e quello oscuro della magia. Hanussen non è solo un comprimario del racconto, ma una chiave interpretativa del romanzo stesso, simbolo di un’epoca in cui la realtà si lascia affascinare dal mito, e il pensiero critico cede spesso alla seduzione del mistero. La sua presenza trasforma l’indagine in qualcosa di più profondo: una ricerca sul confine tra visibile e invisibile, tra ciò che può essere spiegato e ciò che si preferisce credere.

Attraverso questo intreccio di cinema, storia, mistero e occultismo, Giulio Leoni costruisce un’opera che è molto più di un semplice romanzo d’intrattenimento. È una riflessione sul potere delle immagini, sulla fragilità della razionalità umana, e sull’inquietante facilità con cui intere società possono smarrirsi inseguendo illusioni. Un viaggio nell’ombra di un secolo che si preparava a sprofondare.

Il cuore simbolico del romanzo pulsa intorno a un progetto tanto visionario quanto carico di ambiguità: il viaggio sulla Luna. In un’epoca in cui l’umanità sembra sul punto di affrancarsi dai limiti della terra, Giulio Leoni coglie la portata filosofica e politica di un’ossessione collettiva per il progresso. La donna sulla Luna – inteso qui anche come il film di Fritz Lang – incarna la fiducia cieca nella razionalità, nella tecnica, nella conquista. Ma dietro il sogno della corsa verso il cielo si cela un presagio cupo, una deriva possibile del moderno: l’idea che il progresso non sia necessariamente emancipazione, ma possa diventare strumento di controllo, di sopraffazione, di distruzione. La Luna non è solo un corpo celeste da raggiungere, è uno specchio che riflette le ansie di una civiltà che, mentre guarda verso le stelle, non vede il baratro che si apre sotto i suoi piedi.

Questo senso di vertigine è il tratto più inquietante del romanzo. La scienza, l’ingegno, la tecnica – tutte queste forze che dovrebbero redimere il mondo – sembrano invece convergere verso un futuro disumanizzante. Berlino è percorsa da correnti oscure: il linguaggio si fa più aggressivo, i volti più duri, le parole d’ordine più inquietanti. E Leoni dissemina con finezza, mai con didascalismo, i segni premonitori dell’ascesa del nazismo. Le conversazioni nei salotti, gli sguardi di certi personaggi minori, le divise che iniziano a circolare con sempre meno pudore: ogni dettaglio contribuisce a costruire un senso di soffocamento ineluttabile. L’illusione dell’arte, del progresso, persino dell’amore, si scontra con una realtà che si indurisce, si fa monolitica, e prepara la scena a un’ideologia che trasformerà la Germania in un laboratorio dell’orrore.

Nel cuore di questo scenario perturbante, la figura femminile assume un ruolo enigmatico e centrale. Il titolo del romanzo – La donna sulla Luna – va letto non solo come riferimento al film di Lang, ma come cifra simbolica dell’intero racconto. Chi è, davvero, la donna sulla luna? È la collaboratrice uccisa? È la Luna stessa, intesa come principio femminile, alterità irraggiungibile, sogno tradito? Leoni gioca con questi piani di lettura, lasciando che il lettore si muova tra tracce e allusioni. Le donne del romanzo, pur marginali nel numero, sono decisive nella sostanza: sono portatrici di intuizione, di ambiguità, di rivelazione. Ma sono anche vittime predestinate in una società che si avvia a celebrare la forza, la virilità, la marcia. La morte della donna non è solo un delitto da risolvere: è il simbolo di una perdita più vasta, di un’intera sensibilità umana condannata all’estinzione.

La scrittura di Giulio Leoni si distingue per un equilibrio raro tra rigore e evocazione. Il suo stile è netto, essenziale, ma mai asciutto: ogni frase sembra portare con sé un’eco, un rimando, una sottile vibrazione. La documentazione storica è impeccabile, ma non invade mai il flusso narrativo. È semmai la base solida su cui poggia un’invenzione letteraria che si muove con libertà, senza mai tradire la verosimiglianza. Leoni non ha bisogno di spiegare, di mostrare compiaciutamente il proprio sapere: lascia che i dettagli parlino, che le ambientazioni respirino, che i dialoghi portino in superficie ciò che è stato frutto di attenta ricerca e di sensibilità immaginativa. Il risultato è un romanzo che non solo si legge, ma si attraversa, come un sogno in chiaroscuro o una pellicola in bianco e nero che torna a muoversi sotto i nostri occhi.

E in fondo, La donna sulla Luna è anche un’opera sulla natura stessa del racconto, sulla possibilità di fondere realtà e finzione in una narrazione che sia più vera del vero. Le figure di Lang e Hanussen, le trame politiche, i progetti spaziali, le indagini oscure: tutto ha una base storica, tutto è realmente accaduto o documentato. Ma Leoni inserisce nel reale uno spirito romanzesco che non distorce, ma amplifica. E così facendo, ci costringe a riflettere su quanto le nostre visioni del passato – come del presente – siano sempre un misto di fatti e immaginazione. Il romanzo si chiude lasciando un senso di inquietudine sospesa, come dopo un film muto in cui le immagini, pur finite, continuano a vivere nello sguardo di chi guarda. E in quell’ombra che resta, in quel silenzio, c’è forse la vera luna su cui nessuno è mai davvero sbarcato.


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