Stelle cadenti: un racconto di orrore e follia

La notte era calda e soffocante, il tipo di notte che ti fa desiderare di essere altrove, lontano da tutto e da tutti. Le colline piacentine erano un mosaico di luci lontane e ombre inquietanti, un palcoscenico perfetto per alcolizzati, senza tetto e altri disperati in fuga dalle proprie miserie. Tra questi c’era Giovanni, un uomo che aveva visto troppo e vissuto troppo poco. Con una sigaretta tra le labbra, Giovanni si trascinava da un’osteria all’altra, cercando di ingannare i suoi fantasmi bevendo vino gutturnio.

Ma quella notte, qualcosa di diverso aleggiava nell’aria. Le stelle sembravano più vicine, quasi palpabili, e una strana sensazione di inquietudine si insinuò nel cuore di Giovanni. Mentre si fermava per accendere un’altra sigaretta, vide una stella cadente attraversare il cielo. Non era una stella normale, però. Era più grande, più luminosa, e sembrava lasciare una scia di oscurità dietro di sé.

Giovanni non era un tipo che si lasciasse impressionare facilmente, ma quella stella aveva qualcosa di sinistro. Decise di seguirla, spinto da una curiosità morbosa che non riusciva a spiegare. Le strade lo portarono verso i sobborghi di Piacenza, dove le luci si facevano più rare e le ombre più profonde.

Arrivò infine a un vecchio casolare abbandonato, un relitto di un’epoca passata. La porta era socchiusa, e una luce rossastra e intermittente usciva dall’interno. Giovanni esitò per un momento, poi spinse la porta ed entrò. Dentro era buio e silenzioso, ma c’era qualcosa nell’aria, un odore ripugnante di cadaveri in putrefazione.  

Giovanni avanzò verso il centro del casolare, quando sentì un sussurro, un mormorio che sembrava provenire dall’oscurità che lo circondava.

Poi la luce rossa si accese nuovamente. Proveniva da una vecchia lampada sgangherata che penzolava da una trave. Le pareti in legno del capanno si illuminarono. Erano coperte di strani simboli, incisi con una precisione inquietante. Giovanni si fermò davanti a uno specchio rotto, e per un attimo, vide il riflesso di qualcosa che non era lui. Qualcosa di mostruoso, dal volto squamoso e con occhi bestiali.

Giovanni si scosse, cercando di liberarsi da quella visione inquietante. Il mormorio si fece più forte, come se le pareti stesse stessero sussurrando segreti dimenticati. Avanzò con cautela, i suoi passi risuonavano nel silenzio opprimente del casolare. La sua ombra sembrava staccarsi dal corpo e danzare alla luce rossa della lampada sgangherata.

Giunse infine a una stanza più grande, al centro della quale si trovava un manufatto di metallo. Sopra di esso, una specie di schermo pulsava mostrando simboli arcani. Giovanni si avvicinò, attratto da una forza invisibile. Sentiva il vino che aveva bevuto gorgogliare nello stomaco in un misto di paura e curiosità.

Mentre esaminava i simboli misteriosi sullo schermo, le parole sembrarono prendere vita, danzando davanti ai suoi occhi. Erano scritte in una lingua che non aveva mai visto, ma che in qualche modo riusciva a comprendere. Parlava di antiche civiltà aliene, di rituali dimenticati e di poteri oscuri nascosti tra le stelle.

Improvvisamente, un forte vento sferzò la stanza, facendo dondolare la lampada rossa. Il mormorio si trasformò in un coro di voci dissonanti. Giovanni sentì una presenza dietro di sé, qualcosa di antico e malevolo. Si voltò lentamente, il respiro mozzato dalla paura.

Davanti a lui, una figura emerse dall’oscurità. Era alta e magra, con occhi che brillavano di una luce innaturale. La pelle era pallida e tesa, e il volto sembrava un teschio avvizzito. La creatura lo fissò, e Giovanni sentì un’ondata di terrore puro attraversarlo. Le voci si fecero più forti, un crescendo di follia che minacciava di sopraffarlo.

La creatura avanzò, e Giovanni si rese conto che non aveva via di fuga. Era intrappolato in quel casolare, intrappolato in un incubo da cui non poteva svegliarsi. Cercò di darsi coraggio, sperando di trovare un modo per scacciare l’orrore che lo circondava.

Ma la creatura non era ostile. Al contrario, una voce femminile, roca e intrisa di malinconia, risuonò nella mente di Giovanni. “Non temere, umano. Non sono qui per farti del male.”

La creatura avanzò, rivelando tratti più definiti alla luce fioca. Gli occhi brillavano di follia, ma c’era anche qualcosa di profondamente triste in fondo ad essi.

“Chi sei?” chiese Giovanni.

“Sono Alara,” rispose la creatura, “un’aliena esiliata dal mio pianeta. Ho trovato rifugio qui, ma la solitudine e il dolore mi hanno portato a cercare conforto nel vino.”

Giovanni notò una bottiglia di ortrugo, della sua marca preferita, tra le mani scheletriche di Alara. Senza sapere esattamente perché, si sentì spinto a condividere quel momento con lei. Prese un bicchiere e si sedette accanto al manufatto, accettando il vino che Alara gli porgeva.

Mentre bevevano, Alara iniziò a raccontare la sua storia. Parlava di un mondo lontano, di guerre e tradimenti, di un amore perduto e di un esilio forzato. Le sue parole erano intrise di dolore e rimpianto, e Giovanni sentiva ogni emozione come se fosse la propria.

La notte avanzava, e ad ogni sorso, le loro ombre nella stanza sembravano farsi vive, danzando in un macabro balletto. Le voci dissonanti si trasformarono in un coro di lamenti, e Giovanni sentiva la tensione crescere, come se qualcosa di terribile stesse per accadere.

Alara, ormai visibilmente ubriaca, si avvicinò a Giovanni, i suoi occhi pazzi erano febbrili. “C’è un modo per porre fine a tutto questo,” sussurrò, “ma richiede un sacrificio.”

Giovanni si irrigidì. “Che tipo di sacrificio?” chiese, con la voce che era appena un sussurro.

“Un’anima,” rispose Alara, “una vita per placare gli dei che mi hanno abbandonata.”

“Ma di cosa stai parlando?” protestò meccanicamente Giovanni, temendo che la situazione potesse volgere al peggio.

Poi Alara allungò la testa rinsecchita verso di lui e cercò di baciarlo.

Giovanni lasciò fare, per quanto l’aliena puzzasse e fosse di aspetto disgustoso, lui ne era incomprensibilmente attratto.

La notte era calata su Piacenza da un pezzo, avvolgendo la città in un manto di oscurità e silenzio. Le strade deserte erano illuminate solo dalla pallida luce delle stelle, che gettavano ombre inquietanti sui muri malandati del casolare abbandonato.

Alara si mosse con rapidità, con passi svelti e movimenti impercettibili. Il vento sibilava tra le porte aperte del casolare, portando con sé un’eco di antichi sussurri e promesse dimenticate.

Giovanni si ritrovò legato al manufatto alieno senza nemmeno accorgersene. Il suo respiro era ora affannoso e gli occhi si spalancarono per il terrore.

Alara si avvicinò lentamente, il suo volto scheletrico era spaventoso. Nelle sue mani ossute, illuminato dalla debole luce, brillava un pugnale rituale, affilato come un rasoio.

“Il sacrificio deve essere compiuto,” sussurrò Alara.

Giovanni cercò di liberarsi, ma le corde che lo tenevano erano troppo strette. Il suo cuore pareva impazzito, ogni battito un rintocco funebre che risuonava nelle sue orecchie.

Alara sollevò il pugnale, e per un istante, il tempo sembrò fermarsi. L’aria era carica di tensione, come se l’intero universo trattenesse il respiro. Poi, con un movimento fluido e deciso, la lama affondò nel petto di Giovanni. Un urlo straziante squarciò il silenzio della notte, un grido disperato che sembrava provenire dalle profondità dell’inferno.

Il sangue sgorgò copioso, tingendo di rosso il manufatto alieno. Alara osservava impassibile, i suoi occhi erano intrisi di follia. Mentre la vita abbandonava il corpo di Giovanni, un’ombra oscura sembrò sollevarsi dal suo corpo, un’entità eterea che si librava nell’aria prima di dissolversi nel nulla.

Il casolare abbandonato era intriso di un orrore palpabile, un terrore primordiale che sembrava permeare ogni cosa. Alara si voltò e si allontanò, lasciando dietro di sé solo il silenzio e l’eco di un sacrificio compiuto.

I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale.

Scritto da Anonimo Piacentino

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