Nel panorama delle pubblicazioni contemporanee che trattano il male come realtà spirituale e non solo come concetto etico o psicoanalitico, Il Diavolo. Un’inchiesta contemporanea di padre Gabriele Amorth, edito da Piemme nel 2014, si presenta con un titolo che incuriosisce e promette una certa sistematicità: un’inchiesta, appunto. Ma che tipo di inchiesta è? Non ci troviamo di fronte a un’inchiesta giornalistica nel senso classico del termine, né a una ricerca accademica fondata su fonti documentarie, statistiche o teologiche comparate. Quella di Amorth è, piuttosto, un’indagine pastorale, condotta dal punto di vista di chi ha speso una vita nel ministero sacerdotale e, più specificamente, nel compito controverso e solitario dell’esorcismo. Il metodo adottato è diretto e pragmatico: il sacerdote-esorcista riferisce ciò che ha visto, sentito, toccato, come un testimone in un processo, non come un teologo o uno scienziato. A sostegno delle sue tesi, non presenta una bibliografia articolata, ma casi concreti, intuizioni spirituali, esperienza personale, e soprattutto una fede profonda nella dottrina cattolica tradizionale.
In questo senso, il lettore è subito chiamato a comprendere che l’autore non parte da un punto di vista critico, ma da una convinzione incrollabile: il Diavolo esiste, è attivo e opera nel mondo, spesso in modo subdolo, altre volte in maniera clamorosa. La figura di Satana, così come delineata da Amorth, è quella classica del nemico di Dio e dell’uomo, un’entità personale, dotata di intelligenza, volontà e una capacità straordinaria di manipolare, ingannare e distruggere. Non si tratta, dunque, di una metafora, di una proiezione collettiva del male o di un simbolo culturale, ma di un essere reale, che agisce in modo organizzato. Questa descrizione si inserisce pienamente nella tradizione demonologica cattolica, ma se ne coglie anche un’impronta particolare: il Satana di Amorth sembra spesso ereditare i tratti di una visione preconciliare, combattiva, quasi militare, in cui il mondo è il teatro di una lotta costante e tangibile tra Bene e Male, tra angeli e demoni, tra anime da salvare e anime già perdute.
Questa visione teologica si riflette nella lettura che l’autore fa della società contemporanea, dipinta a tinte fosche, come un ambiente spiritualmente devastato, in cui il Maligno ha guadagnato terreno approfittando dell’indifferenza, dell’ignoranza e della perdita del senso del sacro. Amorth elenca una serie di fenomeni che, secondo lui, rappresentano le manifestazioni più evidenti dell’influsso diabolico: l’occultismo e le pratiche esoteriche ormai banalizzate dai media, la new age e la pseudospiritualità individualista, la pornografia, l’aborto, la distruzione della famiglia, l’abuso di droghe, il diffondersi di pratiche sataniche anche tra i giovani. La forza polemica con cui Amorth denuncia questi fenomeni non è semplicemente moralistica, ma nasce da una concezione del mondo in cui tutto ciò che disgrega, divide, riduce l’uomo a oggetto o lo separa da Dio è frutto diretto dell’azione satanica.
In questo contesto, la figura dell’esorcista, secondo Amorth, assume un’importanza centrale ma drammaticamente trascurata. Lontano dall’essere una figura folkloristica, l’esorcista è per lui un combattente spirituale, un medico dell’anima chiamato ad affrontare casi che la psicologia e la medicina non possono curare. Tuttavia, denuncia il sacerdote, la Chiesa postconciliare ha progressivamente emarginato questa funzione, relegandola a ruolo secondario, ritenendola obsoleta, quando non apertamente screditandola. Il risultato è, per Amorth, una Chiesa disarmata di fronte all’avanzata del Male, più preoccupata di apparire moderna che di proteggere i fedeli dalle vere minacce spirituali.
Tutto ciò si lega strettamente a uno dei temi più ricorrenti nel testo: la perdita del senso del peccato e del sacro. Per Amorth, il relativismo morale, l’indebolimento della pratica sacramentale, la diffusione di una fede tiepida e razionalizzata costituiscono un varco aperto per l’azione del Demonio. Dove l’uomo smette di riconoscere il peccato, lì Satana entra indisturbato. Non è un caso che l’autore insista sull’importanza della confessione, dell’Eucaristia, del Rosario, come strumenti di protezione spirituale. Questi non sono semplici riti o abitudini devozionali, ma armi efficaci in una battaglia invisibile e continua.
In conclusione, Il Diavolo. Un’inchiesta contemporanea non è un testo che si limita a informare: è un grido d’allarme, un’esortazione accorata rivolta a credenti e consacrati affinché riscoprano la realtà del male e la necessità della fede vissuta con radicalità. Non ci troviamo davanti a una riflessione neutrale, ma a un manifesto spirituale che, piaccia o meno, chiama in causa ogni lettore, chiedendogli: da che parte stai?
Uno degli aspetti più controversi e incisivi dell’opera è senza dubbio la critica che padre Amorth rivolge al clero contemporaneo, in particolare a quella parte del mondo ecclesiastico che egli definisce “razionalista”. L’accusa è chiara e tagliente: molti vescovi e preti non credono più nel demonio, lo relegano a figura simbolica, lo riducono a retaggio folklorico, e in tal modo — afferma l’autore — disarmano la Chiesa proprio nel momento in cui il Male si fa più aggressivo e pervasivo. Questa critica non è solo una lamentela pastorale o una polemica interna: essa riflette, in realtà, un dissidio più profondo tra due modelli di spiritualità. Da una parte, una fede “moderna”, dialogica, spesso razionalizzata, talvolta filtrata da categorie sociologiche e psicologiche; dall’altra, una spiritualità militante, incarnata, apocalittica, che percepisce il soprannaturale come realtà tangibile e quotidiana. Amorth non accusa soltanto dei colleghi tiepidi: accusa un intero spirito del tempo, che ha indebolito il senso del sacro in nome della compatibilità culturale.
In contrapposizione a questo razionalismo clericale, l’autore propone un modello di resistenza spirituale radicato nella tradizione e nelle pratiche semplici ma potenti della fede cattolica. I tre strumenti principali sono la preghiera — in particolare il Rosario — i sacramenti, con un’enfasi sulla confessione e sull’Eucaristia, e una fede vissuta non come adesione intellettuale ma come relazione personale con Dio. Questa è la “protezione divina” secondo Amorth: non un talismano, non una formula magica, ma un’interiorità vigilante, umile e costante, nutrita da una pratica religiosa regolare. Lungi dall’essere un nostalgico della devozione devozionale fine a sé stessa, Amorth presenta una spiritualità concreta, diretta, che potrebbe apparire anacronistica ma che si dimostra, almeno nel suo impianto, sorprendentemente efficace per chi è ancora capace di sentire il mondo come attraversato da forze invisibili.
Il linguaggio con cui tutto questo viene comunicato è altrettanto caratteristico: Amorth non adotta il tono cattedratico del teologo né il distacco analitico del saggista. Il suo è un tono da predicatore e da militante. Si avverte la voce dell’uomo di Chiesa che ha vissuto sulla propria pelle i limiti, le resistenze, le derisioni, e che ha deciso di scrivere con la schiettezza di chi non ha più tempo per le mediazioni. In questo senso, il libro si avvicina più a un pamphlet che a un manuale: ha una struttura semplice, diretta, e mira a scuotere più che a istruire. Il pubblico di riferimento non è tanto il lettore colto o lo scettico curioso, quanto il fedele confuso, il credente tiepido, il parroco disilluso, la madre che non capisce perché suo figlio si interessa di tarocchi. Ma anche il lettore più distante, se è disposto a sospendere il giudizio, può restare colpito dalla coerenza interna di questa visione del mondo.
Un punto delicato riguarda l’uso delle fonti e l’autorità da cui Amorth trae legittimità. Il testo non è un trattato dottrinale: le citazioni di documenti magisteriali, Concili o Padri della Chiesa sono rare, quasi assenti. L’autorità del discorso si fonda sull’esperienza: “io l’ho visto”, “io l’ho vissuto”, “io ho pregato e ho sentito la reazione del demonio”. È una posizione forte, ma anche fragile: per molti lettori, il fatto che l’intero impianto del libro si regga sull’esperienza personale dell’autore può rappresentare un limite. Tuttavia, in una tradizione come quella cristiana, dove la testimonianza diretta ha da sempre un peso fondamentale, questa scelta può anche essere letta come un ritorno alle origini: l’apostolo che racconta ciò che ha toccato con mano.
Eppure, proprio in questa dimensione esperienziale risiede anche il rischio maggiore: quello di scivolare, anche involontariamente, verso un immaginario superstizioso. Quando ogni malessere, ogni crisi, ogni deviazione morale viene ricondotta all’influsso del demonio, si corre il pericolo di oscurare la complessità dell’animo umano e delle sue responsabilità. Il confine tra fede matura e superstizione non è mai netto, e il libro di Amorth, pur nella sua coerenza, a tratti lo sfiora. La sua insistenza sull’azione del demonio può apparire eccessiva, se non è inserita in una visione più ampia del male come mistero, come libertà pervertita, come realtà teologica ma anche antropologica. Se letto con discernimento, Il Diavolo. Un’inchiesta contemporanea è un testo utile, provocatorio, necessario. Se letto con ingenuità, rischia di rafforzare una religiosità difensiva, fatta più di paura che di speranza. Ma proprio in questa ambiguità risiede, forse, la forza del libro: costringe il lettore a interrogarsi non solo su cosa creda, ma su come crede. E questo, in tempi di fede tiepida e pensiero debole, è già qualcosa.