Miglior racconto horror breve: una storia vera di pura follia

“Questo è il miglior breve racconto dell’orrore che mai sia stato scritto” disse Eustachio accendendosi una sigaretta con mani tremanti. Il fumo si alzò lento, come i suoi pensieri. “Il miglior racconto dell’orrore,” ripeté, quasi per convincere se stesso. Il vento freddo della sera gli sferzava il viso, ma lui non se ne curava. Era abituato al freddo, alla solitudine, alla disperazione.

Seduto su una panchina arrugginita, Eustachio osservava le ombre dei palazzi di periferia allungarsi sopra la strada. Ogni ombra aveva una storia, e lui le conosceva tutte. Aveva visto cose che avrebbero fatto impazzire un uomo ordinario, ma lui non era normale. Era un sopravvissuto, un relitto umano che si aggrappava alla vita e alla bottiglia. Soprattutto alla bottiglia, purché fosse di buona qualità. Beveva solo vino piacentino di marca. E la sua marca preferita la conoscevano in pochi. Una piccola cantina di un produttore indipendente, disperato come lo era Eustachio.

“Stelle cadenti,” mormorò, guardando il cielo. “Un racconto di orrore e follia.” Rise amaramente, un suono che si perse nel vento. “Come la mia vita.”

Un rumore di passi lo fece voltare. Una figura si avvicinava, barcollando. Una donna, con i capelli arruffati e gli occhi gonfi. Aveva un’aria familiare, forse un’avventura del passato. “Chi sei?” chiese Eustachio, ma la donna non rispose. Si sedette vicino, e lui sentì l’odore pungente dell’alcol.

Eustachio le offrì da bere un sorso dalla sua bottiglia di vino. La donna accettò, gli rispose con un sorriso, ma non disse una sola parola.

Il sole stava calando, tingendo il cielo di un arancione sporco. Sotto un ponte, poco più avanti, un gruppo di barboni si radunava attorno a un fuoco improvvisato. Le loro facce erano scavate, segnate da anni di lotta e costernazione. Uno di loro, con una barba incolta e lo sguardo vuoto, stringeva una bottiglia di gutturnio come fosse l’ultima cosa preziosa al mondo.

Le risate erano amare, spezzate da colpi di tosse e lamenti. Ogni uomo aveva una storia, ma nessuno voleva ascoltarla. Erano fantasmi vivi, invisibili alla città che li circondava. Il fumo del fuoco si mescolava con l’odore pungente della miseria, creando un’aria pesante, quasi tangibile.

Un vecchio con un cappotto logoro provò a darsi coraggio. “Domani sarà meglio,” mormorò, ma nessuno gli credette. Le parole si persero nel vento, come promesse non mantenute. La notte calava, e con essa, un’altra battaglia per la sopravvivenza.

Eustachio e la donna dai capelli arruffati si baciarono. Poi salirono in casa da lui. Un vecchio appartamento di due stanze, sporche e rovinate.

Eustachio stappò la seconda bottiglia di vino bianco: un ortrugo frizzante dei colli piacentini.

Poi guardò fuori dalla finestra. L’appartamento stava al terzo piano di un caseggiato decrepito. Vedeva le persone camminare lungo la via, vestiti con cappotti grigi e giacche blu e vestiti neri. Indossavano pantaloni eleganti o gonne raffinate e avevano gli occhi senza occhi e la bocca senza bocca. Camminavano velocemente, come se la frenesia del quotidiano avesse potuto risvegliare la morte e tramutarla in vita. Erano un carnevale di decadenza e atrocità.

La donna continuò a bere senza parlare e alla fine si addormentò sul letto di Eustachio. Era vecchia, doveva avere almeno quarant’anni.

Lui si sedette alla macchina da scrivere. Era tremendo. Per tutta la vita aveva desiderato scrivere storie horror ma non gli veniva fuori niente. Non aveva nemmeno pensieri profondi, idee originali o storie interessanti. Era rovinato, non riusciva a mettere giù una sola parola e si sentiva incastrato in un angolo. Aveva sognato di scrivere il miglior racconto breve dell’orrore. Ma era solo un sogno. Ogni duecento anni nasceva un grande scrittore, ma quello non era lui. Si sentiva fottuto e stappò la terza bottiglia di ortrugo.

Bevve ancora qualche bicchiere. Ormai si era fatta notte fonda. Decise di andare a dormire. La donna era scomparsa. Fuori iniziò a piovere. Si sentivano i tuoni e lampi improvvisi squarciavano l’oscurità della notte.

Eustachio si avvicinò al letto, il rumore della pioggia che batteva contro i vetri della finestra era quasi ipnotico. I tuoni rimbombavano in lontananza, mentre i lampi illuminavano a intermittenza la stanza, creando ombre inquietanti sui muri. Si tolse le scarpe e si preparò a coricarsi, cercando di scacciare dalla mente l’immagine della donna dai capelli arruffati.

Proprio mentre si stava infilando sotto le coperte, un lampo particolarmente forte illuminò la stanza, rivelando una figura nell’angolo. Eustachio si bloccò, aveva bevuto ma era ancora lucido. La donna era tornata, e questa volta aveva un cacciavite in mano. I suoi occhi erano grandi, spalancati e pazzi, e un ghigno malvagio le imbruttiva il volto.

Con un grido soffocato, Eustachio cercò di alzarsi, ma la donna fu più veloce. Si lanciò su di lui, brandendo il cacciavite con una forza sorprendente. Eustachio riuscì a parare il primo colpo con il braccio, sentendo il metallo freddo che gli graffiava la pelle. Il dolore lo fece urlare, ma non poteva permettersi di cedere alla paura.

La donna continuava a colpire, ogni movimento accompagnato da un sibilo di rabbia. Eustachio lottava disperatamente, cercando di afferrare il cacciavite per disarmarla. La stanza era un caos di ombre e suoni, il rumore della pioggia e dei tuoni mescolato ai loro respiri affannosi e ai colpi sordi del cacciavite contro il legno del letto.

Finalmente, Eustachio riuscì a spingere via la donna, facendola cadere a terra. Il cacciavite scivolò dalle sue mani, rotolando sotto il letto. La donna si rialzò, gli occhi pieni di odio, ma Eustachio non le diede il tempo di riprendersi. Con un balzo, si lanciò verso la porta, sperando di trovare una via di fuga prima che lei potesse attaccare di nuovo.

La tensione era palpabile, ogni secondo sembrava un’eternità mentre Eustachio correva verso la salvezza, con la consapevolezza che la donna non avrebbe rinunciato facilmente alla sua preda.

La pioggia continuava a battere contro i vetri, e i tuoni sembravano avvicinarsi sempre di più. Raggiunse la maniglia e la girò con forza, ma la porta non si aprì. Era bloccata.

Dietro di lui, la donna si rialzò lentamente, una smorfia crudele le alterava la faccia. Eustachio sentì il panico crescere dentro di sé, ma cercò di mantenere la calma. Doveva trovare un modo per uscire da quella stanza.

Con un rapido sguardo, notò una finestra aperta dall’altra parte della camera. Era una possibilità rischiosa, ma l’unica che aveva. Si lanciò verso la finestra, sentendo i passi della donna che si avvicinavano sempre di più. Riuscì a raggiungerla e a sporgersi fuori, ma la pioggia e il vento rendevano difficile la fuga.

Proprio mentre stava per saltare, sentì una mano afferrargli la caviglia. La donna lo tirò indietro, facendolo cadere a terra. Eustachio si girò, cercando di liberarsi, ma la donna era sopra di lui, il cacciavite di nuovo in mano.

Eustachio afferrò una lampada dal comodino e la colpì con tutta la forza che aveva. La donna urlò di dolore e cadde di lato, lasciando cadere il cacciavite. Lui non perse tempo: si rialzò e si lanciò dalla finestra, saltando fuori nella notte tempestosa.

Si sfracellò sull’asfalto bagnato, fracassandosi tutto. Il giorno dopo fu trovato morto dai netturbini, che per poco non lo scambiarono per un sacco della spazzatura.

Della donna non si seppe più nulla, ed il caso fu archiviato come suicidio. Il sipario calò in questo modo sulla triste vita fallita di un aspirante scrittore di racconti dell’orrore.

Gli eventi narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone, cose, luoghi  o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale

Scritto da Anonimo Piacentino

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