Furia partigiana

Partigiano Val trebbia

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Era una notte fredda e buia, e la furia partigiana era pronta a scatenarsi. La Val Trebbia ed il castello controllato dai fascisti erano avvolti dalla nebbia.

Quando fu arrivato ai piedi della collina dopo una lunga marcia, il partigiano Pancrazio Spadone si fermò per riprendere fiato. Doveva ora attraversare il tratto più esposto. Tra gli ultimi alberi del bosco, e l’ingresso al castello, si estendeva davanti a lui una ripida salita ricoperta di neve.

Non un cespuglio né alcun altro tipo di barriera naturale si frapponeva tra lui e la fortezza. Avrebbe percorso quell’ultimo tratto senza protezione. Se qualcuno si fosse affacciato da una delle numerose finestre lo avrebbe visto, e per lui sarebbe stata la fine.

Guardò l’orologio. Erano le ventitré e quaranta minuti. Lui si augurò che a quell’ora nessuno sentisse l’esigenza di contemplare il panorama.

Il partigiano imbracciò la balestra per fronteggiare ogni evenienza ed iniziò ad arrampicarsi sulla parete scoscesa. La sua missione era disperata, la sua amata era stata catturata dalle Brigate Nere e rinchiusa nel castello.  Lui doveva salvarla. Ma era solo, contro tutti.

La salita fu difficoltosa, per via della neve e della pendenza pronunciata. Quando fu arrivato in cima, la grande torre Ovest si ergeva austera davanti ai suoi occhi.

Si avvicinò alle mura del castello con rapidità e si appiattì con la schiena contro la parete. Un rumore improvviso lo fece trasalire: la risata di un uomo. Si guardò intorno preoccupato ma non vide nessuno. Poi udì delle voci: le guardie.

Pancrazio Spadone caricò la balestra, era pronto ad accendere la sua furia partigiana e si avvicinò silenziosamente all’ingresso ubicato sul lato ovest, vicino alla torre che aveva da poco raggiunto. Due soldati erano di sentinella davanti alla porta, stavano fumando e chiacchierando amabilmente. Prima ancora che potessero notarlo, lui aveva già sparato. La freccia viaggiò silenziosa centrando uno dei due soldati in un occhio. Morì sul colpo rovinando sul terreno innevato senza nemmeno un gemito.

L’altro soldato girò la testa da una parte e dall’altra, era preso dal panico e non ebbe la prontezza di mettersi al riparo.

Pancrazio aveva già ricaricato e lanciò la seconda freccia. Andò a segno conficcandosi nel collo delle sentinella.

L’uomo si accasciò sulle ginocchia emettendo un orribile gorgoglio, ma era ancora vivo. Si estrasse il dardo dal collo e dopo averlo gettato lontano puntò la sua mitragliatrice, una Maschinenpistole 40, contro di lui.

Pancrazio si lanciò in avanti per evitare la raffica. Dannazione, imprecò tra sé, il rumore dei colpi avrebbe fatto scattare l’allarme. La sua missione era già finita prima di cominciare? Avrebbe avuto il tempo di fuggire?  Guardò il soldato cercando di scacciare quei pensieri dalla mente.

Il mitra si era inceppato e non partì nemmeno un colpo. La ferita alla gola impedì alla guardia di urlare o di chiamare aiuto.

Pancrazio si rialzò con un ghigno di trionfo sul volto, sfoderò il suo coltellaccio militare e lo piantò nella pancia di quell’uomo. Poi sollevò la lama e gli squarciò il ventre.

Il soldato spirò in un lago di sangue, mentre la neve ai suoi piedi si macchiava di rosso come in un  cruento ma breve racconto dell’orrore.

Pancrazio perquisì i cadaveri e trovò le chiavi per aprire il portone. Trascinò dentro i due morti e richiuse le porte. Si trovava in un corridoio senza finestre che portava ad una scala a chiocciola. Scendendola avrebbe raggiunto le segrete del maniero.

Prima di inoltrarsi al livello inferiore, occultò i due corpi senza vita dentro ad una stanzetta prospiciente le scale. Una scia di sangue macchiava il pavimento. Troveranno i cadaveri senza fatica, ragionò lui, ma in quel momento non poteva perdere tempo a ripulire le tracce che si stava lasciando dietro.

Si tolse la sovratuta mimetica bianca e la infilò nello zaino, si levò il passamontagna bianco dal volto e serrò la porta dello stanzino. Quando ebbe finito, scese le scale.

Raggiunse il piano interrato del maniero, e si introdusse in un lungo corridoio senza finestre. Sulle pareti, moderne lampade a muro si alternavano a numerose porte chiuse. Passò davanti ad alcune stanze, gli ingressi erano contrassegnati con delle targhette che ne descrivevano le funzioni. Si lasciò alle spalle l’infermeria, un deposito di viveri, la lavanderia, senza mai incontrare nessuno.

Sentiva della musica provenire in lontananza, dai livelli superiori del castello, dove probabilmente era in corso una festa. Il volume della musica divenne più intenso quando arrivò in fondo al corridoio che sbucava in un grande atrio. Alla sua destra tre finestre si aprivano all’esterno del maniero ed una grande scala saliva al piano superiore. Nella parete alla sua sinistra c’erano due porte chiuse. Davanti a sé vide due sentinelle immobili come guardie svizzere, a protezione del passaggio che dava accesso all’ala sud del castello.

Pancrazio mantenne il sangue freddo, anche le guardie lo avevano visto, ma sembravano perplesse, evidentemente non avevano ancora capito che un estraneo si era introdotto nella fortezza.

Lui approfittò dell’effetto sorpresa, imbracciò la balestra e fece partire la prima freccia. Colpì una sentinella in mezzo al petto. L’altra reagì con prontezza, tolse la sicura al mitragliatore e prese la mira.

Ma la sua reazione fu troppo lenta, Pancrazio aveva già ricaricato la balestra ed il secondo colpo centrò il cuore del soldato che crollò a terra ucciso dalla furia partigiana.

Pancrazio corse attraverso l’atrio con passo svelto e leggero. Doveva far sparire altri due cadaveri e doveva farlo in fretta. Si rese conto di avere sempre meno tempo a disposizione per la sua missione. Con quattro soldati morti, presto qualcuno si sarebbe accorto della loro assenza dando l’allarme. Si caricò i corpi esanimi sulle spalle uno alla volta e attraversò il grande atrio quattro volte per nasconderli nella stanza aperta più vicina.

Si sentiva accaldato, almeno il freddo era passato, si consolò.

Tornò vicino all’ingresso che stavano presidiando le guardie uccise e provò ad entrare. La porta si aprì.

(continua… clicca qui)

 

I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone  o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale

Scritto da Anonimo Piacentino

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