Lezioni private

Lezioni private

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Era una fredda e buia notte d’inverno, fuori nevicava da alcune ore e non si vedevano nemmeno le stelle, nascoste da una spessa coltre di nuvole nere come la pece.

Al tepore di un caminetto acceso, comodamente sdraiata sul divano in soggiorno, Gilda scaldava il suo giovane corpo sotto le coperte, e nutriva l’animo esuberante leggendo sadici racconti dell’orrore con il suo tablet.

Gilda era una ragazza sensibile: una poetessa. Scriveva conturbanti versi d’amore e passione, fantasticando a proposito di trasgressive avventure con uomini sconosciuti.

Un brivido di eccitazione la pervase quando navigando sul blog di un anonimo scrittore di indecenti racconti erotici lesse uno strano annuncio che colpì la sua fantasia: “LEZIONI PRIVATE, SADICO PROFESSORE OFFRE CONSULENZA TELEFONICA A STUDENTESSE REMISSIVE, OBBEDIENTI E TENDENZIALMENTE MASOCHISTE”

Seguiva il numero di telefono e l’indirizzo email.

Passò molte ore a domandarsi che aspetto, età e nome potesse avere questo misterioso e sadico professore. Poi si sconvolse nel scoprire quanto questi pensieri, unitamente ad altri molto più maliziosi, l’avessero turbata. Era quasi l’alba quando, dopo una notte insonne, decise che gli avrebbe telefonato.

Nel tardo pomeriggio del giorno dopo, appena rientrata dall’università dove anziché seguire le lezioni aveva passato tutto il tempo a fantasticare a proposito delle consulenze promesse dall’annuncio, si fece coraggio e compose il numero.

Il telefono la lasciò in attesa per alcuni interminabili secondi, poi finalmente qualcuno rispose

“Chi parla?” domandò una voce virile, calda e sensuale.

“Io.. ecco.. si.. cioè..mi chiamo Gilda” disse lei arrossendo.

L’uomo rimase in silenzio a lungo, lei poteva sentire il suo respiro calmo e calcolatore, mentre un’ondata di emozioni contrastanti le facevano accelerare le palpitazioni del cuore.

“Chiami per l’annuncio?” chiese lui alla fine, con tono severo.

“Sì” sospirò lei, sempre più agitata

“Sei consapevole delle conseguenze?”

Gilda fu scossa da un fremito di paura. Non aveva considerato che potessero esserci delle conseguenze ed ora si sentiva in pericolo.

“Ecco… io.. non.. non ci ho pensato” ammise con un filo di mestizia nel finale.

“Stupida stronzetta insolente, come osi chiamarmi se nemmeno capisci o sei consapevole di quello che stai facendo?”

Gilda avvampò per la vergogna: la sentenza senza appello di quella voce era come uno schiaffo sul viso.

“Ma.. ma io.. non credevo..”

“Stai zitta! Chiudi quella fogna di bocca, ascoltami attentamente e parla solo se interrogata. Hai capito?”

“Sì” riuscì a dire lei, deglutendo.

“Quando mi rispondi, devi sempre rivolgerti a me con il titolo che mi spetta, riesce la tua zucca vuota a capire questo?”

“Sì.. professore” disse lei, mentre un leggero tremolio le aveva preso le gambe.

“Tu hai bisogno del mio aiuto, questo lo capisco: se ti fossi rotta un piede andresti da un ortopedico. Se tu avessi problemi alla vista ti rivolgeresti ad un oculista. Ma tu sei una piccola, debole, scellerata masochista e quindi, giustamente, ti rivolgi a qualcuno che capisca la tua natura malata e sia in grado di curarti. Hai bisogno di una guida, di qualcuno che decida per te, perché tu da sola non sei nemmeno capace di andare al cesso, non è forse vero?”

Gilda iniziò a piangere in silenzio. Lui la stava umiliando con violenza e lei non era capace di reagire, anzi nemmeno lo desiderava. Sentiva nel profondo del suo animo di condividere l’inquietante verità che lo sconosciuto le stava buttando in faccia: sentiva il bisogno di una persona che la guidasse per mano lungo la complicata strada della vita.

“Non ho ragione? Rispondi capra!” ordinò la voce in modo perentorio.

“Sì professore, è vero, ho bisogno di aiuto” ammise lei, rompendo la voce in un pianto disperato.

“Smetti subito di piangere cretina. Se vuoi che ti aiuti dovrai imparare a controllarti e seguire le mie regole. Regola numero uno: devi fare tutto quello che ti dico. Regola numero due: devi essermi grata e adorarmi per tutto quello che ti insegnerò. Regola numero tre: dovrai pagarmi, cinquanta euro per ogni conversazione telefonica. Userai Paypal e manderai i soldi al mio indirizzo email. E’ tutto chiaro stupida stronza?”

“Sì professore”

“Bene. Questa notte dormirai distesa sul pavimento, con solo una coperta. Poi mi manderai 100 euro e domani mi chiamerai alle 21:00 per cominciare le lezioni private”, ordinò, poi chiuse la conversazione.

Gilda era sotto shock. Andò in camera sua senza cenare, per dormire sul pavimento con solo una coperta addosso.

Sentiva freddo, ma degradarsi in quel modo la fece stare bene. Non riuscì ad addormentarsi, ma nel lungo dormiveglia immaginò che il professore sadico fosse giovane e bellissimo e che si prendesse cura di lei con dolce ma risoluta fermezza.

Dopo dieci giorni e 700 euro spesi, Gilda si era innamorata. Lui l’aveva in pugno, l’aveva soggiogata ed esercitava su di lei un assoluto controllo.

Era un sabato sera, l’aria era pulita e nel cielo erano tornate a vedersi le stelle. Per il primo appuntamento dal vivo con lui, Gilda aveva ricevuto precise disposizioni. Indossava una minigonna cortissima di cotone nero, scarpe con il tacco alto, calze a rete da battona di periferia ed una giacca nera di pelle.

Come le era stato ordinato arrivò puntuale alle ore 21:00, a bordo del suo motorino, presso l’agriturismo Piacenza, sulle colline di Vicobarone, nel piacentino. Si era mezzo assiderata e tremava come una foglia per il freddo e per l’agitazione: stava per incontrare il suo amato professore sadico.

La vecchia titolare dell’agriturismo accompagnò Gilda alla sala dei giochi, e la lasciò davanti alla porta allontanandosi sorridendo in modo perverso.

Oltre l’uscio l’aspettavano la perdizione e le infinite tentazioni del demonio.

Un gelido vento soffiava da nord: puzzava di sterco di vacca. Gilda si fece coraggio, aprì la porta ed entrò.

Il professore stava seduto su di una poltrona al centro della stanza: era un tipo tosto, indossava un abito elegante e delle belle scarpe, i capelli erano color argento con il volto nascosto da una maschera che gli lasciava scoperta la bocca carnosa e dal taglio crudele. Dalle labbra pendeva un sigaro acceso dal quale salivano nuvole di fumo puzzolente. Gli ultimi due bottoni della camicia di seta erano aperti e si intravedevano i peli del petto, lunghi e disgustosi.

Dietro di lui quattro robusti ragazzi scandinavi con grossi muscoli di varia misura  tenevano in mano calici colmi di vino rosso Gutturnio.

“Vieni qui, vicino a me, Gilda” ordinò il professore.

Lei si avvicinò tremante, ondeggiando sui tacchi altissimi. Era ben fatta, molto ben fatta.

Lui la prese per mano, poi la pizzicò sulle guancia.

“Avanti stronzetta, racconta a questi miei giovani amici cosa hai imparato”

“Questa ragazza ha scoperto quale sia il suo posto nel mondo, professore” disse Gilda inginocchiandosi in una posizione goreana: seduta sui talloni, con la schiena dritta e il petto in fuori, lo sguardo rivolto verso il basso e la mani incrociate dietro la schiena. Le gambe erano divaricate  oscenamente offerte alla vista dei presenti.

“Vai avanti, cos’altro ti ho insegnato?”

“Questa ragazza è una schiava senza diritti, un pezzo di carne a disposizione del suo padrone, pronta a soddisfare qualsiasi suo volere. Questa ragazza obbedisce a tutti gli ordini che riceve dalle persone libere, professore”

“Eccellente Gilda, ora dimmi, dove hai dormito questa notte?”

“Nella mia cuccia Professore, ai piedi del letto, sul pavimento” disse la ragazza, arrossendo per la vergogna.

“E per quale motivo ti ho ordinato di dormire dentro ad una cuccia per cani?”

“Perché sono una stupida cagna, professore” sussurrò lei, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

“Non piangere stronzetta” le disse lui dandole uno schiaffo, “se non vuoi che ti dia un serio motivo per piangere, smetti subito”

“Sì, professore”

Lui allora si alzò in piedi, prese da un tavolino vicino alla poltrona un grosso collare di pelle e lo legò intorno al collo della ragazza. Dopo averlo stretto sino a farlo aderire alla pelle della giovane lo chiuse con un pesante lucchetto.

“Ecco, poiché sei una schiava ed una cagnetta da addestrare, d’ora in avanti dovrai portare questo collare, simbolo della tua sottomissione e della tua condizione di inferiorità”

“Sì professore”

I giovani culturisti intanto ridevano divertiti dallo spettacolo, continuando a bere vino Gutturnio. Ne avevano aperte diverse bottiglie e ci davano dentro. Le loro facce erano inquietanti, tutte tirate a lucido e sbarbate come il culo di un neonato. Avevano l’alito maleodorante e gli occhi psicotici.

“Adesso ascoltami attentamente stronzetta: vedi questi grossi giovanotti biondi che stanno ridendo di te?”

“Sì, li vedo, professore” disse lei, sempre più umiliata.

“Hai una vaga idea del perché siano qui?”

“Immagino di sì, professore”

“Bene, voglio allora che tu faccia felici questi quattro vichinghi. Sono in ritiro precampionato da un paio di mesi, ed hanno tutto il diritto di divertirsi un po’ con te…”

“Sì professore” disse Gilda senza troppa convinzione, ora aveva anche un po’ di paura.

I quattro scandinavi intanto l’avevano circondata e quello più vicino si chinò a baciarla. Lei aveva la bocca aperta e umida. Un secondo ragazzone la sollevò, e insieme la trascinarono dietro ad un tavolo di legno massello tutto infarinato.

Poi la costrinsero a preparare diciotto chili di tagliatelle tirando la pasta a mano con il solo ausilio di un mattarello.

Il professore si godette la scena fumando il sigaro, bevendo Gutturnio, e commentando con osservazioni sprezzanti le prestazioni culinarie della sua giovane schiava. E mentre i quattro ragazzi  con grossi muscoli di varia misura costringevano Gilda a preparagli la cena, lui sogghignava crudele.

“Un’altra anima è perduta” pensò con soddisfazione malvagia.

Quando tutto fu finito, lei rimase accasciata ed ansimante sul tavolaccio di legno sfinita dalla fatica e dall’umiliazione, con le mani rovinate dalle vesciche e la schiena a pezzi.

Solo a notte fonda finalmente tornò a casa. Si sentiva avvilita, sporca di farina, svuotata, depressa. Anche se in parte si sentiva attratta da queste cose, la sua coscienza le diceva che erano sbagliate. Desiderava assecondare il professore sadico, ma essere umiliata in modo così estremo la faceva soffrire.

Cominciò a piangere presa dallo sconforto più nero, schiacciata dal peso psicologico rappresentato dal collare che lui le aveva stretto attorno alla gola.

Si ricordò allora di quando era bambina e sua zia la portava in pellegrinaggio al santuario della Madonna della Quercia vicino a Bettola. Il pensiero di quell’età di innocenza, devozione e cose belle, la spinsero a cercare nuovamente conforto nella preghiera e nella fede. E così un fuoco caldo e misterioso improvvisamente le scaldò il cuore.

Il giorno dopo si svegliò serena e felice, e determinata a cambiare vita.

La Gilda che aveva vissuto nel peccato, la schiava del dissoluto professore non esisteva più. Con delle grosse tenaglie trovate in cantina tranciò il lucchetto che chiudeva il collare del malvagio professore sadico, liberandosene per sempre.

Da quel momento si dedicò all’aiuto del prossimo facendo opere di bene nella sua parrocchia e scrivendo poesie sulla purezza dell’amore. E finalmente si sentì amata, appagata, e felice.

Pochi anni dopo si innamorò di un bravo ragazzo timorato di Dio, lo sposò e insieme misero al mondo tanti bei bambini.

Il professore che dava lezioni private invece fu consumato dalla rabbia e dall’odio: non poteva sopportare che l’anima perduta di una giovane viziosa e lasciva si fosse redenta, salvandosi dalle fiamme della geenna. Quelle stesse fiamme infernali che lo stavano divorando da ormai più di ottocento anni.

I fatti narrati sono di pura fantasia, ogni riferimento a persone  o fatti reali o realmente accaduti è del tutto casuale

Scritto da Anonimo Piacentino

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